venerdì, maggio 27, 2005

NOI SIAMO PER LA PROPRIETÀ POPOLARE DELLA MONETA

Per comprendere meglio vi invitiamo a leggere e scaricare il volume dal titolo: IL VALORE DEL DIRITTO del prof. GIACINTO AURITI

NOI SIAMO PER LA PROPRIETÀ POPOLARE DELLA MONETA.
Riprendiamoci la proprietà dei nostri soldi

OGGI la NOSTRA MONETA nasce di PROPRIETA’ della banca che la emette prestandocela.
Noi vogliamo che nasca di PROPRIETA’ dei CITTADINI e che sia ACCREDITATA ad ognuno come "REDDITO DI CITTADINANZA".

Per scrivere questa frase che è valida per tutte le monete in circolazione
sono occorsi 36 anni di studi universitari ( tesi di laurea, convegni ecc.) presso l'ateneo di giurisprudenza di Teramo e "La Sapienza" di Roma.

La SOVRANITA’ MONETARIA va attribuita allo Stato, come quarto potere costituzionale, e tolta alla banca centrale.

La PROPRIETA’ della MONETA va attribuita al Popolo, che, per convenzione sociale le attribuisce il valore: ognuno infatti accetta moneta in previsione di poterla spendere a sua volta. Si attua così il diritto sociale universale, come previsto dalla DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA e del 2° co. Dell’ art. 42 della Costituzione.

Riconosciuta la moneta di proprietà dei cittadini, lo Stato deve trattenere all’ origine, sin dall’ emissione, quanto necessario per esigenze di pubblica utilità, ELIMINANDO il 100% dei PRELIEVI FISCALI.

Vanno costituiti un MINISTERO PER IL RISARCIMENTO DANNI DA USURA
( come i danni di guerra ) ed un TRIBUNALE CONTRO L’ USURA.

Il Popolo non deve avere solo la sovranità politica, ma anche quella monetaria, in una DEMOCRAZIA INTEGRALE, altrimenti CONTINUA
L’ ATTUALE REGIME USUROCRATICO, che, prestando quanto dovutoci, ci trasforma da proprietari in debitori dei nostri soldi.

“ Una volta chi trovava una pepita d'oro se ne appropriava senza indebitarsi verso la miniera. Oggi, al posto della miniera c'è la Banca Centrale, al posto della pepita, un pezzo di carta, al posto della proprietà il debito, perché la banca EMETTE MONETA SOLO PRESTANDO.
Così siamo stati TRASFORMATI DA PROPRIETARI IN DEBITORI DEI NOSTRI SOLDI perché abbiamo verso la Banca Centrale un debito pari a tutto il denaro in circolazione e questo DEBITO NON DOVUTO lo paghiamo inconsapevolmente con le tasse e gli interessi bancari “.

RIPORTARE SERENITA’ E PACE NELLE NOSTRE FAMIGLIE

Dichiarazione in caso di pignoramento da parte di banche.
Atto eseguito da ufficiale giudiziario, a lui rilasciare la seguente dichiarazione di cui si ha diritto, essa è una difesa dei debitori a procedimenti esecutivi.

SE NON SI ACCERTA CHI È PROPRIETARIO DELLA MONETA ALL’ ATTO DELL’ EMISSIONE
- E NESSUNA LEGGE LO DICE - MANCA LA CERTEZZA DEL DIRITTO PER OGNI PRETESA CREDITORIA.
PERTANTO VA CONTESTATO IL CREDITO PRETESO IN PAGAMENTO FINTANTO CHE NON SI STABILISCA CHI SIA ALL’ ORIGINE PROPRIETARIO DELLA MONETA ALL’ ATTO DELL’ EMISSIONE.
- - 0 – O – 0 - -

PREMESSO

- che crea il valore della moneta la collettività e non le banche centrali che la emettono, così il simbolo-carta acquista valore a costo nullo per il semplice fatto che ci si mette d'accordo che lo abbia;
- che la moneta è misura del valore per convenzione (come ogni unità di misura) ;
- che la moneta ha la qualità del valore perché misura i beni economici e come ogni unità di misura ha necessariamente la qualità corrispondente all’ oggetto da misurare (esempio il metro ha la qualità della lunghezza perché misura
la lunghezza ) ;
- che le banche centrali emettono la moneta prestando il dovuto, trasformando i popoli da proprietari in debitori del proprio denaro;
- che la moneta, pur essendo un bene collettivo, è di proprietà individuale perché, per indotto giuridico causato dalla convenzione, ogni portatore è proprietario della sua moneta e pertanto la proprietà della moneta, all'atto dell'emissione, deve essere attribuita ai cittadini e non alla banca;
- che tale principio, che operava universalmente quando la moneta era espressa con simbolo merce (oro), era stravolto con la moneta nominale: infatti mentre con la moneta d'oro il portatore ne era il proprietario, con la moneta nominale ne diventava inconsapevolmente debitore;

CONSTATATO

- che, facendo leva sul riflesso condizionato causato dall'abitudine secolare di dare sempre un corrispettivo per avere denaro, le banche centrali inducono i popoli del mondo ad accettare la propria moneta all'atto dell'emissione col corrispettivo del debito (cioè in prestito) pur essendo il procedimento creativo di moneta nominale realizzato con simboli di costo nullo (oro di carta);
- che in tal modo le banche centrali caricano il costo del denaro all'atto dell'emissione del 200% prestando il dovuto, ossia addebitando il valore monetario che avrebbero dovuto accreditare;
- che i popoli del mondo vengono così non solo espropriati e indebitati per un valore pari a tutto il denaro in circolazione ma sono fatti precipitare nella condizione angosciosa di debitori ineluttabilmente insolventi con la beffa di subire come "democrazia" l' "usurocrazia";
- che questa situazione consolida, per prassi bancaria, i reati di truffa, associazione a delinquere, falso in bilancio, usura ed istigazione al suicidio da insolvenza (come malattia sociale che non ha precedenti nella storia) perché la banca centrale, PRESTANDO IL DOVUTO, carica il costo del denaro del 200% e rende impossibile la puntualità dei pagamenti;


TUTTO CIÒ PREMESSO E CONSTATATO

Poiché democrazia significa sovranità politica popolare, il popolo deve avere anche la sovranità monetaria che di quella politica è parte costitutiva ed essenziale in un sistema di democrazia vera o integrale in cui la moneta va dichiarata, a titolo originario, di proprietà dei cittadini sin dal momento della sua emissione.

Sempre al riguardo si ricorda l'esistenza dei seguenti disegni di Legge:

DIS. LEGGE N. 1889 SENATO XIII LEGISLATURA

E' nell'interesse di tutti i popoli di tutto del mondo che si parli della proprietà popolare della moneta ma, ancor di più, è importante ricordare ai nostri politici Italiani di discutere il disegno di legge su indicato che ormai, da anni giace al Senato.

IL sottoscritto Prof. Giacinto Auriti, nella qualità di Segretario Generale del Sindacato Antiusura S.A.US., istituito in Italia con sede in Guardiagrele (CH) al Largo Botteghe n.3 cap.66016;

D I F F I D A la B C E

CONSIDERATO CHE

- nessuna norma del trattato di Maastricht stabilisce di chi sia la proprietà dell'EURO all'atto dell'emissione;

- non si può dire chi sia debitore e chi creditore nella fase di circolazione;

- l'EURO non può, quindi, essere accettato come moneta di corso legale perché manca la certezza del diritto;

-il fatto, per la sua notorietà, non necessita del sostegno di alcun mezzo di prova o di accertamento giudiziario.
In virtù di quanto innanzi premesso, il sottoscritto, nella qualità dedotta, avanza formale diffida alla Banca Centrale Europea, in persona del Governatore pro-tempore, ad astenersi da qualunque forma di emissione di euro perché il vizio di nullità è di tale rilievo da impedire, per carenza assoluta della certezza del diritto, la nascita del valore monetario convenzionale.
Si fa presente, con l'occasione, che la proprietà dell'EURO dev'essere riconosciuta a tutti i cittadini europei sin dall'atto dell'emissione perché sono costoro che, accettando la moneta, ne creano il valore e, quindi, ne acquistano la proprietà. Di conseguenza la B.C.E., non essendo proprietaria dei valori monetari, non può prestarli ai cittadini.Tutto l'EURO che sarà emesso dovrà essere accreditato alle collettività nazionali che, contestualmente all'emissione, vanno riconosciute proprietarie della loro moneta.
Posto che la recente scoperta scientifica del valore indotto ha dimostrato che tutti possono prestare denaro, tranne chi lo emette, il mancato rispetto di questo principio consoliderebbe i reati di truffa, usura, falso in bilancio, associazione a delinquere e, consequenzialmente, istigazione al suicidio da insolvenza; tutto ciò in applicazione anche di norme penali vigenti ed uniformi in tutti gli Stati europei. Ove mai la presente diffida non fosse accolta i popoli europei si andrebbero ad indebitare verso la B.C.E.senza alcun corrispettivo e per un debito, non dovuto,pari alla massa monetaria in circolazione.
In mancanza di riscontro lo scrivente Sindacato si vedrà costretto a rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea.
Chieti, lì 01.06.2001.
F.to II Segretario Generale del Sindacato Antiusura SAUS
Avv.Prof. Giacinto Auriti
Relata di notifica ad istanza come in atti, io sottoscrìtto Ufficiale Giudiziario, addetto all'UUNEP presso il Tribunale di Chieti, ho notificato copia del su esteso atto, conforme all'originale, alla Banca Centrale Europea, in persona del Governatore protempore, con sede in,
Kaiser Strasse n. 29 D. 60311 Frankfurt/am/main/German y, ciò ho fatto mediante servizio postale ai sensi di legge.
Chieti, 2 Giugno 2001.
F.to Ufficiale Giudiziario
Papale Luigi Dell'Ufficio Unico
Esecuzioni Tribunale di Chieti.
Di conseguenza il sindacato antiusura S.A.US., malgrado abbia abbondantemente dimostrato che tutti possono prestare denaro tranne chi lo emette;

PRENDE ATTO

- che, malgrado la notorietà dei fatti qui evidenziati e regolarmente denunciati alla Procura della Repubblica del Tribunale di Teramo (in data 8-3-93) e pur essendo stato presentato al Senato della Repubblica Italiana il Disegno di Legge "PER LA PROPRIETÀ' POPOLARE DELLA MONETA" (XII Legislatura, n. 1282, e XIII Legislatura, n. 1889 su iniziativa dei Senatori Natali, Monteleone, ed altri), il problema è stato del tutto ignorato dalle Autorità Statali.
L'attuale assoluta inefficienza degli organi statuali a liberare la collettività nazionale dall'asservimento alla grande usura della Banca Centrale, invita i cittadini a farsi giustizia per proprio conto, convenzionalmente, per legittima difesa, usufruendo del SIMEC: l’ unica moneta al mondo di proprietà del portatore.

DEFINISCE
" PROPOSTA DI UN REGIME MONETARIO UNIFORME IN CUI LA PERSONA UMANA* SIA PADRONE E NON DEBITORE DELLA SUA MONETA "

* (e non persona giuridica (Enti di Stato, multinazionali, S.p.a. e così via)

MANIFESTO per la GIUSTIZIA MONETARIA

Per garantire la moneta come strumento di diritto sociale vanno rispettati i seguenti principi:

1).Moneta di proprietà del portatore.
2).Senza riserva.
3).Rarità monetaria controllata e finalizzata agli interessi sociali e non a quelli dell'usura.
4).Reddito monetario di cittadinanza.
5). Codice dei redditi sociali.
6).Trattenuta all'origine dei fondi per esigenze fiscali di pubblica utilità.
7). Moratoria dei debiti (ed eventuale sciopero dei debitori) in attesa dell'accertamento della proprietà dei valori monetari e della relativa compensazione di dare-avere.
8).Costituzione di un dicastero per il risarcimento danni da usura (analogo al risarcimento danni di guerra).
9). Divieto di signoraggio: tutti possono prestare moneta tranne chi la emette.

Manifesto presentato dal Prof.Avv. Giacinto Auriti segretario generale del Sindacato Anti USura S.A.US. al convegno di Guardiagrele (CH) ITALIA "Giustizia monetaria" il 13-09-02

Se IL TEMPO È DENARO, il denaro è tempo.
Diventiamo PROPRIETARI del NOSTRO DENARO, e finalmente, saremo PADRONI del NOSTRO TEMPO.

DISEGNO DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE
(ai sensi dell'art. 71 della Costituzione italiana)

che riconosce l'EURO proprietà dei cittadini europei.

Art. 1 - L'EURO, all'atto dell'accettazione, nasce di proprietà dei cittadini ed è acquisito a tal fine nella disponibilità degli Stati Membri aderenti al Trattato di Maastricht. L'EURO è pertanto proprietà del portatore.

Art. 2 - Ad ogni cittadino è attribuito un codice dei redditi sociali, mediante il quale gli viene accreditata la quota di reddito,causato dalla accettazione monetaria e da altre eventuali fonti di reddito in attuazione del 2° co. dell'art.42 della Costituzione.

Art. 3 - Accettata la proprietà dell'EURO in rappresentanza della collettività nazionale, il Governo è legittimato a trattenere all'origine quanto necessario per le esigenze fiscali di pubblica utilità.

Art. 4 - Norma transitoria. E' concessa la moratoria dei debiti a richiesta di parte in attesa che si accerti di chi sia la proprietà dell'EURO all'atto dell'emissione.

Disegno di Legge proposto dal Sindacato S.A.US.

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LA GIUSTIZIA MONETARIA NELLO STATO DI DIRITTO

E inammissibile che nel c. d. "Stato di Diritto" non si sappia di chi sia la proprietà della moneta. Poiché nessuna norma del Trattato di Maastricht stabilisce di chi sia la proprietà dell'EURO all'atto dell'emissione, ne consegue che non si può dire chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione. Tutto il sistema monetario è pervaso da un fondamentale arbitrio contabile della banca centrale perché manca la certezza del diritto.
Quando la moneta era d'oro il portatore ne era il proprietario. Chi trovava una pepita se ne appropriava senza indebitarsi verso la miniera. Oggi, al posto della miniera c'è la banca centrale; al posto della pepita una pezzo di carta; al posto della proprietà il debito, perché la banca emette moneta solo prestandola.
Poiché non c'è incompatibilità tra la posizione di proprietario e quella di debitore perché il debitore è proprietario provvisorio della moneta per la durata del prestito facendo leva sul riflesso condizionato causato dall'abitudine secolare di dare sempre un corrispettivo per avere denaro, i popoli sono stati indotti ad accettare,all'atto dell'emissione, la propria moneta col corrispettivo del debito non dovuto, inconsapevolmente. Con l'avvento della moneta nominale (la Sterlina inglese, emessa dalla Banca d'Inghilterra nel 1964) si è verificata, così, la più grande truffa di tutti i tempi, passata inosservata perché il portatore, pur essendo proprietario della moneta, non si accorgeva di avere un debito non dovuto, di pari valore, da lui pagato a richiesta arbitraria del falso creditore, con i prelievi fiscali e gli interessi bancari. Particolarmente significativi, in questo senso, i "prelievi fiscali per combattere l'inflazione" in cui lo scopo del tributo, essendo finalizzato alla rarefazione monetaria, è fine a sé stesso e consente agli azionisti della banca centrale la parassitaria rendita da signoraggio, considerata addirittura come "costo di un pubblico servizio" (la lotta all'inflazione).

SU TALI INTRODUZIONI DIMOSTRATE

- che crea il valore della moneta il popolo, che l'accetta come mezzo di pagamento e non la banca centrale che la emette;

- che le banche centrali emettono la moneta prestando il dovuto, ossia trasformando i popoli da proprietari in debitori del proprio denaro;

- che nessuna norma del trattato di Maastricht statuisce di chi sia la proprietà dell’ EURO all’ atto dell’ emissione e che pertanto non si puo’ stabilire chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione, per l’ incertezza del diritto.

- che, malgrado le numerose denunce per truffa, associazione a delinquere, falso in bilancio, usura, istigazione al suicidio da insolvenza, nessun provvedimento giudiziale è stato all'uopo emesso;

- che i detti reati sono stati denunciati sulla base di fatti notori che, per assumere rilevanza giuridica, non necessitano ne di prove, nè, tantomeno, di accertamento giudiziale.

- che i magistrati vanno sollecitati ad assumere valide iniziative giudiziali, concedendo come provvedimento d’ urgenza la moratoria dei debiti, a fronte delle drammatiche situazioni in cui esplode l’ angoscia dell’ insolvenza ineluttabile, e la malattia sociale del suicidio per debiti non dovuti a effetto dell’ usurocrazia che non ha precedenti nella storia.

PERTANTO

IL SINDACATO ANTI-USURA "SAUS" SOLLECITA I MAGISTRATI A DISPORRE COME ATTO DOVUTO E PROVVEDIMENTO D'URGENZA VOLTO AD EVITARE DANNI IMMANI ALLE VITTIME DEI DETTI REATI
LA MORATORIA DEI DEBITI BANCARI E FISCALI, IN ATTESA CHE SI ACCERTI DI CHI SIA LA PROPRIETÀ DELLA MONETA ALL'ATTO DELL'EMISSIONE.

Bibliografìa Consigliata:

1 - IL PAESE DELL'UTOPIA di Giacinto Auriti Casa Editrice Tabula Fati del Gruppo editoriale SAGRAB Sri
66100 CHIETI - C P 34. Tel. 0871 63210 Fax 0871 404798 Intemet: http://www.tabulafati.it

2 - LA BANCA LA MONETA E L'USURA di Bruno Tarquini Controcorrente edizioni Via Carlo de Cesare 11 cap 80132 Napoli Tel. 081/421349-5520024.

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Giacinto Auriti

ASS.P.P. - ASSOCIAZIONE per la PROPRIETA’ di POPOLO
Associazione Culturale senza scopo di lucro
ITALIA

CONTO CORRENTE POSTALE NUMERO 128 05 669
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Purtroppo nella nostra attualità vanno al comando chi si-serve meglio di tutti gli altri.
L’ ETICA IMPERANTE E’ QUELLA ECONOMICISTICA RISULTATO DEL SISTEMA MONETARIO ATTUALE.
“ E’ GIUSTO QUELLO CHE CONVIENE ECONOMICAMENTE ” solo a livello individuale, le conseguenze di questo modo di pensare sono sotto gli occhi di tutti……
Invece ora le nostre comunità sono chiamate a scegliere uomini secondo un’ altra etica, che storicamente è quella che ci appartiene.
ETICA ROMANO – CRISTIANO - CATTOLICA
“ CONVIENE ESSERE GIUSTI ” per la salvezza sia dell’anima che del corpo, sul piano individuale, e per assicurare un futuro di giustizia e pace al prossimo.

LA FIABA di Johann Wolfgang Goethe

Sul grande fiume, che una violenta pioggia aveva gonfiato fino a farlo straripare, il vecchio barcaiolo dormiva nella sua piccola capanna, stanco delle fatiche della giornata. Nel cuore della notte alcune voci forti lo svegliarono; sentì che dei viaggiatori volevano essere traghettati.

Quando fu alla porta, vide ondeggiare sulla barca legata due grandi fuochi fatui, che gli assicurarono di avere molta fretta e di voler essere già sull'altra riva. Il vecchio non indugiò, partì e guidò attraverso la corrente con la solita abilità, mentre gli stranieri bisbigliavano tra loro in una lingua sconosciuta molto veloce e ogni tanto scoppiavano in una sonora risata, saltando su e giù, ora sui bordi e sulle panche, ora sul fondo della barca.
- La barca ondeggia! - esclamò il vecchio -, e se siete così irrequieti può capovolgersi; state seduti, fuochi!
A questa richiesta i due scoppiarono in una gran risata, si burlarono del vecchio e si agitarono ancora di più. Lui sopportò con pazienza le loro scortesie, e presto toccò l'altra riva.
- Questo è per la prima vostra fatica! - esclamarono i viaggiatori, e scuotendosi fecero cadere nella barca umida tante monete d'oro lucente.
- Per amor del cielo, che fate! - esclamò il vecchio -. Volete rovinarmi! Se una moneta d'oro fosse caduta in acqua, la corrente, che non può sopportare questo metallo, si sarebbe sollevata in onde terribili, mi avrebbe inghiottito insieme alla barca, e chissà che ne sarebbe stato di voi; riprendetevi il vostro denaro!
- Non possiamo riprendere quello che abbiamo scrollato replicarono quelli.
- Allora - disse il vecchio piegandosi per raccogliere nel berretto le monete d'oro -, mi costringete a fare lo sforzo di cercarle, portarle sulla terraferma e sotterrarle.
I fuochi fatui erano saltati dalla barca, e il vecchio esclamò:Dov'è la mia ricompensa?
- Chi non accetta l'oro deve lavorare per niente! - esclamarono i fuochi fatui.
- Dovreste sapere che posso essere pagato solo con i frutti della terra.
- Con i frutti della terra? Noi li disprezziamo, e non li abbiamo mai mangiati.
- Non posso lasciarvi andare, se non promettete di farmi avere tre cavoli, tre carciofi e tre grosse cipolle.
I fuochi fatui scherzando cercarono di sgattaiolare via, ma si sentirono inspiegabilmente incatenati al suolo: era la sensazione più sgradevole che avessero mai provato. Promisero di esaudire quanto prima la sua richiesta; lui li liberò e se ne andò.
Era già lontano quando lo richiamarono: - Vecchio! ascolta, vecchio! Abbiamo dimenticato la cosa più importante! -. Ma lui se n'era andato e non li sentiva più. Si era fatto trasportare dal fiume sull'altra riva, per sotterrare quell'oro pericoloso in un posto di montagna, che l'acqua non avrebbe mai potuto raggiungere. Trovò un enorme abisso fra alte rocce, lo gettò là dentro e tornò alla sua capanna.
In questo abisso si trovava il bel serpente verde, che fu svegliato dal suo sonno dalle monete che cadevano tintinnando. Appena vide quei dischi, li inghiottì immediatamente con grande avidità, e si mise a cercare con cura tutte le monete che si erano sparpagliate nei cespugli e nelle fenditure delle rocce.
Appena le ebbe inghiottite, provò la sensazione piacevolissima dell'oro che si scioglieva nelle sue viscere diffondendosi per tutto il corpo, e si accorse con enorme gioia di essere diventato trasparente e luminoso. Da molto tempo gli avevano assicurato che un simile fenomeno era possibile; ma poiché dubitava che questa luce potesse durare a lungo, la curiosità e il desiderio di garantirsi l'avvenire lo spinsero a uscire dalle rocce per scoprire chi potesse aver gettato il bell'oro. Non trovò nessuno. Gli riuscì ancora più gradito ammirare la piacevole luce che diffondeva tra l'erba fresca. Tutte le foglie parevano di smeraldo, tutti i fiori erano trasfigurati in modo meraviglioso. Frugò inutilmente quel posto solitario e selvaggio; ma la sua speranza aumentò quando giunse in pianura e da lontano vide un bagliore simile al suo. - Se finalmente trovassi uno come me! - esclamò, e si affrettò a raggiungere quel posto. Non si curò della difficoltà di strisciare fra le canne della palude; infatti, nonostante vivesse di preferenza sui secchi prati montani o in profonde fenditure di roccia, mangiasse erbe aromatiche e placasse di solito la sua sete con tenera rugiada e fresca acqua di sorgente, per amore dell'oro e con la speranza della luce meravigliosa, avrebbe fatto qualsiasi cosa gli fosse imposta.
Preso da una grande stanchezza raggiunse finalmente un'umida palude, dove giocavano i nostri due fuochi fatui. Andò loro incontro, li salutò e si rallegrò di aver trovato signori tanto piacevoli imparentati con lui. Le luci lo sfiorarono, scivolarono su di lui e risero a modo loro. - Signor cugino dissero -, se appartenete alla linea orizzontale non significa niente; noi siamo imparentati solo in apparenza, basta che guardiate (e tutti e due sprigionarono fiamme, sacrificando la loro ampiezza per diventare il più possibile lunghi e sottili) come a noi signori della linea verticale doni questa lunghezza slanciata; non prendetela a male, amico, ma quale famiglia può vantarla? Da quando esistono fuochi fatui non ce n'è stato nessuno seduto o disteso.
Il serpente si sentì molto a disagio in presenza di questi parenti, perché poteva alzare la testa in alto quanto voleva, ma sentiva di doverla piegare di nuovo a terra per fare un passo avanti, e mentre prima nell'oscuro boschetto era straordinariamente soddisfatto, ora, davanti a questi cugini, il suo splendore pareva diminuire di momento in momento, e temeva che alla fine sarebbe addirittura svanito.
In preda a quest'imbarazzo chiese velocemente se i signori non potessero dargli qualche notizia sulla provenienza dell'oro lucente che poco prima era caduto nell'abisso fra le rocce; lui pensava che fosse una pioggia d'oro che cadeva direttamente dal cielo. I fuochi fatui risero e si scrollarono, e fecero schizzare tutt'intorno una gran quantità di monete d'oro. Il serpente le inghiottì velocemente. - Gustatele, signor cugino dissero cortesemente quei signori -, possiamo offrirvi ancora di più. Si scossero altre volte con grande agilità, tanto che il serpente riuscì appena a mandar giù il prezioso cibo a una simile velocità. La sua luce cominciò ad aumentare visibilmente, e finì con il risplendere in modo meraviglioso, mentre i fuochi fatui erano diventati piccole e sottili, senza perdere tuttavia niente del loro buonumore.
- Vi sarò grato in eterno - disse il serpente, quando riuscì di nuovo a prendere fiato alla fine del suo pasto -; chiedetemi quello che volete: vi darò tutto ciò che è in mio potere.
- Magnifico! - esclamarono i fuochi fatui -. Dicci, dove abita la bella Lilie? Portaci il più in fretta possibile al palazzo e al giardino della bella Lilie, moriamo dall'impazienza di gettarci ai suoi piedi.
- Non posso farvi subito questo favore - ribatté il serpente con un profondo sospiro -. Purtroppo la bella Lilie vive al di là dell'acqua.
- Al di là dell'acqua? E noi ci siamo fatti traghettare in questa notte di tempesta! Com'è orribile il fiume che ci divide! Sarà possibile chiamare di nuovo il vecchio?
- Sarebbero sforzi inutili - rispose il serpente -, perché se pure l'incontraste su questa riva non vi porterebbe; può far attraversare il fiume a chiunque, ma non può riportare indietro nessuno.
- Siamo sistemati bene! Non c'è un altro modo per attraversare il fiume?
- Diversi, ma non in questo momento. Io stesso potrei traghettare lor signori, ma solo a mezzogiorno.
- Quella è un'ora in cui non viaggiamo volentieri.
- Allora potete passare di sera sull'ombra del gigante.
- Come si fa?
- Il grande gigante, che abita non lontano da qui, non è in grado di fare niente con il suo corpo; le sue mani non sollevano neppure un filo di paglia; le sue spalle non potrebbero portare nemmeno un fagotto; ma la sua ombra può molto, anzi tutto. Perciò al sorgere e al calare del sole è molto potente, e così di sera ci si può sedere sul collo della sua ombra, il gigante si avvia lentamente verso la riva e la sua ombra porta il viandante al di là dell'acqua. Ma se a mezzogiorno volete trovarvi in quell'angolo del bosco dove fitti cespugli costeggiano la riva, potrò traghettarvi io stesso e presentarvi alla bella Lilie; se invece temete il caldo di mezzogiorno potrete cercare il gigante verso sera in quell'insenatura di rocce; si mostrerà di sicuro cortese.
I giovani signori si allontanarono con un leggero inchino, e il serpente fu contento di essersi liberato di loro, anche per soddisfare una curiosità che già da molto tempo lo tormentava in modo particolare.
In un luogo fra gli abissi di rocce, dove spesso andava strisciando, aveva fatto una scoperta singolare. Infatti, malgrado fosse costretto a strisciare attraverso questi abissi senza luce, con i sensi sapeva distinguere bene gli oggetti. Era abituato a trovare dappertutto solo prodotti della natura di forma irregolare; ora si insinuava fra i denti di grandi cristalli, ora sentiva punte e filamenti d'argento puro, e portava con sé alla luce questa o quella pietra preziosa. Ma con suo grande stupore, in una roccia chiusa tutt'intorno, aveva sentito oggetti che rivelavano la mano creatrice dell'uomo. Pareti lisce, lungo le quali non poteva salire, angoli acuti e regolari, colonne ben modellate e, cosa più strana, figure umane intorno alle quali si era spesso avviticchiato, e che pensava che fossero di metallo o di marmo molto levigato. Voleva ricomporre un'ultima volta tutte queste esperienze servendosi della vista, e confermare quello che aveva solo supposto. Ora pensava di poter illuminare con la propria luce questa meravigliosa stanza sotterranea e sperava di riconoscere in una sola volta questi strani oggetti. Si affrettò e sulla solita strada trovò le fenditure attraverso le quali era solito insinuarsi nel tempio.
Una volta arrivato sul posto si guardò intorno con curiosità, e anche se la sua luce non riusciva a illuminare tutti gli oggetti della rotonda, quelli più vicini gli apparvero distintamente. Con stupore misto a deferenza guardò verso una nicchia splendente, in cui era posta la statua in oro puro di un venerabile re. Le dimensioni della statua superavano le proporzioni umane, ma a giudicare dalla figura, era l'immagine di un uomo piccolo piuttosto che alto. Il suo corpo ben fatto era coperto da un semplice mantello, e una corona di foglie di quercia teneva insieme i suoi capelli.
Il serpente aveva appena visto questa venerabile statua, quando il re cominciò a parlare e chiese:
- Da dove vieni?
- Dagli abissi in cui abita l'oro - rispose il serpente.
- Cos'è più bello dell'oro? - chiese il re.
- La luce - rispose il serpente.
- Cos'è più ristoratrice della luce? - domandò quello.
- La parola - rispose questi.
Mentre discorreva aveva sbirciato da un lato, e aveva visto un'altra immagine meravigliosa nella nicchia vicina. Vi era seduto un re d'argento, dalla figura allungata e molto esile; il suo corpo era coperto da una veste ricamata, corona, cintura e scettro erano ornati di pietre preziose; aveva sul viso la serenità della fierezza e sembrava voler parlare, quando una venatura di colore scuro che attraversava la parete di marmo diventò all'improvviso luminosa e diffuse in tutto il tempio una piacevole luce. In questo chiarore il serpente vide il terzo re, dalla possente figura di bronzo, che sedeva là appoggiato alla sua clava, era adorno di una corona d'alloro, ed era più simile a una roccia che a un uomo. Il serpente volle girarsi verso il quarto, che si trovava più lontano, ma il muro si aprì e la venatura luminosa lampeggiò e scomparve.
Ne uscì un uomo di media statura, che attirò su di sé l'attenzione del serpente. Era vestito da contadino e portava in mano una piccola lampada, la cui tenue fiamma si guardava volentieri e illuminava l'intero tempio in modo straordinario, senza gettare neppure un'ombra. - Perché vieni, visto che abbiamo la luce? - chiese il re d'oro. - Sapete che non posso illuminare l'oscurità.
- Il mio regno è alla fine? - Chiese il re d'argento.
- Tardi o mai - ribatté il vecchio.
Con voce robusta il re di bronzo chiese: - Quando potrò alzarmi?
- Presto - rispose il vecchio.
- A chi devo unirmi? - chiese il re.
- A tuo fratello maggiore - disse il vecchio.
- Che ne sarà del più giovane? - chiese il re.
- Si siederà - disse il vecchio.
- Non sono stanco - esclamò il quarto re balbettando con voce roca. Mentre quelli parlavano il serpente era andato strisciando piano per il tempio, aveva osservato tutto, e ora guardava da vicino il quarto re. Stava appoggiato a una colonna, e la sua figura considerevole era più pesante che bella. Ma non si riusciva a distinguere bene il metallo in cui era stato fuso. A ben guardare era una mescolanza dei tre metalli di cui erano fatti i suoi fratelli. Ma le materie non sembravano essersi amalgamate bene al momento della fusione; venature irregolari d'oro e d'argento attraversavano la massa di bronzo e davano alla statua un aspetto sgradevole.
Intanto il re d'oro disse all'uomo: - Quanti segreti conosci?
- Tre - rispose il vecchio.
- Qual è il più importante? - chiese il re d'argento.
- Quello palese - rispose il vecchio.
- Vuoi rivelarlo anche a noi? - chiese quello di bronzo.
- Appena saprò il quarto - disse il vecchio.
- Che mi importa! - mormorò tra sé il re composito.
- Conosco il quarto - disse il serpente, si avvicinò al vecchio e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio.
- L'ora è arrivata! - esclamò il vecchio con voce possente. Il tempio riecheggiò, le colonne di metallo risuonarono, e in quell'istante il vecchio sprofondò a occidente e il serpente a oriente, e ogni cosa sparì rapidamente negli abissi delle rocce.
Tutti i passaggi che il vecchio percorreva si riempivano d'oro dietro di lui, perché la sua lampada aveva la straordinaria facoltà di trasformare le pietre in oro, gli animali morti in pietre preziose, e di annientare tutti i metalli, ma per produrre quest'effetto doveva illuminare da sola. Se aveva vicino un'altra luce, emanava solo un bel chiarore, e ravvivava tutto quello che era animato.
Il vecchio entrò nella sua capanna costruita sulla montagna, e trovò la moglie in preda a una grande afflizione. Era seduta vicino al fuoco e piangeva e non riusciva a darsi pace.
- Come sono infelice - esclamò -, oggi non avrei dovuto lasciarti andare via!
- Che succede? - chiese tranquillo il vecchio.
- Appena te ne sei andato - disse la donna singhiozzando -, ho trovato sulla soglia due viandanti turbolenti; incautamente li ho fatti entrare, sembravano due brave persone gentili; erano avvolti in fiamme sottili, si poteva prenderli per fuochi fatui; appena sono in casa cominciano ad adularmi in modo sfrontato, e diventano così insistenti che non riesco a pensarci senza vergogna.
- Quei signori avranno scherzato - ribatté il marito sorridendo; considerando la tua età avrebbero dovuto limitarsi alla semplice cortesia.
- Quale età! Età! - esclamò la donna -. Devo sempre sentir parlare della mia età? Quanti anni ho? Semplice cortesia! Lo so io. Basta guardare come sono diventate le pareti; guarda le vecchie pietre, che non vedevo più da cent'anni; non sai con quale abilità hanno leccato tutto l'oro; e continuavano ad assicurarmi che era migliore dell'oro volgare. Quando hanno finito di spazzare tutte le pareti sembravano di ottimo umore e in poco tempo sono diventati molto più grandi, larghi e splendenti. Allora hanno ricominciato con l'allegria smodata, mi hanno accarezzata di nuovo, mi hanno chiamata la loro regina, si sono scossi e hanno schizzato una quantità di monete d'oro; ma che disgrazia! Il nostro cane ne ha mangiate alcune e guarda, è lì morto nel camino: povera bestia! Non so darmi pace. L'ho visto solo quando se n'erano andati, - perché altrimenti non avrei promesso di pagare il loro debito con il barcaiolo.
- Quale debito? - Chiese il vecchio.
- Tre cavoli, tre carciofi e tre cipolle; ho promesso di portarli al fiume quando sarà giorno.
- Puoi fare loro questo favore - disse il vecchio -; potranno servirci ancora in qualche occasione.
- Io non so se ci saranno utili, ma loro l'hanno promesso.
Intanto il fuoco ardeva nel camino, il vecchio ricoprì di cenere i carboni, tolse le monete d'oro, e allora la sua piccola lampada brillò di nuovo da sola, in un meraviglioso splendore, i muri si rivestirono d'oro e il cane era diventato l'onice più bella che si potesse immaginare. L'alternarsi dei colori bruni e neri della preziosa pietra la rendeva una straordinaria opera d'arte.
- Prendi il tuo cesto - disse il vecchio -, e metti dentro l'onice; poi prendi i tre cavoli, i tre carciofi e le tre cipolle, sistemali intorno alla pietra e portali al fiume. A mezzogiorno fatti traghettare dal serpente e vai a ritrovare la bella Lilie, portale l'onice; toccandola la renderà viva, come uccide ogni cosa viva toccandola; avrà in lei una fida compagna. Dille che non deve essere triste, che la sua liberazione è vicina, che può considerare la disgrazia più grande come la più grande fortuna, perché l'ora è arrivata.
La vecchia prese il suo cesto e appena fu giorno si mise in cammino. Il sole che sorgeva splendeva luminoso sul fiume che scintillava da lontano; la donna procedeva a passi lenti, perché il cesto le pesava sulla testa, e non era l'onice a pesare tanto. Quando portava cose morte non le sentiva, al contrario, il cesto si sollevava e si librava in alto sopra la sua testa. Ma portare una verdura fresca o una bestiola viva, le riusciva molto gravoso. Aveva camminato per qualche tempo di malumore, quando di colpo si fermò spaventata, perché era quasi finita sull'ombra del gigante che si allungava fino a lei sulla pianura. E solo allora vide il potente gigante, che si era bagnato nel fiume ed era uscito dall'acqua, e non sapeva come evitarlo. Appena lui vide la salutò scherzosamente, e le mani della sua ombra afferrarono subito il cesto. Con leggerezza e abilità presero un cavolo, un carciofo e una cipolla e li portarono alla bocca del gigante, che poi risalì il fiume e lasciò libera la strada alla donna.
La vecchia pensò se non fosse meglio tornare indietro per sostituire i pezzi che mancavano prendendoli nel suo giardino, e in preda a questi dubbi continuò ad andare avanti arrivando ben presto in riva al fiume. Rimase seduta a lungo aspettando il barcaiolo, e alla fine lo vide traghettare con uno strano viaggiatore. Un uomo giovane, nobile, bello, che non riuscì a vedere bene, scese dalla barca.
- Cosa vi porta qui? - esclamò il vecchio.
- E' per la verdura che vi devono i fuochi fatui - rispose la donna mostrando quello che portava. Quando il vecchio ne trovò solo due di ogni tipo, si arrabbiò e dichiarò di non poterli accettare. La donna glieli offrì con insistenza, gli raccontò che ora non poteva andare a casa e che il peso da portare lungo la strada le sarebbe riuscito gravoso. Lui insistette nella sua risposta negativa, assicurandole che non dipendeva assolutamente da lui. - Devo lasciare quello che mi spetta insieme al resto per nove ore, e non posso prendere niente per me, finché non ne avrò ceduto un terzo al fiume.
Dopo molti discorsi e obiezioni alla fine il vecchio rispose: C'è un altro modo. Se vi rendete garante per il fiume e se volete riconoscere il vostro debito, io mi prenderò i sei pezzi; ma questo presenta dei rischi.
- Se manterrò la parola non correrò nessun rischio?
- Nessuno. Mettete la vostra mano nel fiume - continuò il vecchio - e promettete di pagare il debito entro ventiquattr'ore.
La vecchia obbedì, ma quale fu il suo spavento quando tirò fuori dall'acqua la sua mano nera come il carbone. La donna rimproverò con furia il vecchio, assicurando che le mani erano sempre state la sua parte più bella, e che a dispetto dei lavori pesanti aveva saputo conservare questi nobili arti bianchi e morbidi. Guardò con grande afflizione ed esclamò disperata: - E' ancora peggio! Vedo che è diminuita, è molto più piccola dell'altra.
- Ora non è che apparenza - disse il vecchio, ma se non manterrete la parola succederà davvero. La mano si ritirerà sempre più e alla fine scomparirà del tutto, senza che dobbiate rinunciare a usarla. Potrete fare qualunque cosa, ma nessuno la vedrà.
- Preferirei non poterla usare, ma che si vedesse - disse la vecchia -; ora questo non ha nessuna importanza, io manterrò la mia parola per liberarmi di questa pelle nera e di questa preoccupazione.
Prese in fretta il cesto, che si alzò da solo sulla sua testa e restò sospeso in aria, e raggiunse il giovane che camminava pensieroso, a passi lenti, sulla riva. La sua splendida figura e il suo strano vestito avevano colpito profondamente la vecchia. Il suo petto era coperto da una corazza lucente, che lasciava vedere tutti i movimenti del suo bel corpo. Dalle spalle scendeva un mantello di porpora, intorno alla sua testa scoperta i capelli scuri ondeggiavano in bei riccioli, il suo dolce viso era esposto ai raggi del sole come i suoi piedi ben fatti. Camminava tranquillamente a piedi nudi sulla sabbia ardente e un profondo dolore sembrava renderlo insensibile a ogni impressione esterna.
La loquace vecchia cercò d'indurlo a conversare, ma le sue parole laconiche le diedero poche informazioni, e così alla fine, a dispetto dei suoi begli occhi, si stancò di parlargli inutilmente e si congedò da lui dicendo:
- Andate troppo piano per me, signore, io non posso perdere un minuto, perché devo passare il fiume sul serpente verde e consegnare alla bella Lilie il magnifico regalo di mio marito . Dopo queste parole si allontanò velocemente e con la stessa velocità il bel giovane si rianimò e la rincorse.
- Andate dalla bella Lilie! - esclamò -. Allora facciamo la stessa strada. Che regalo le portate?
- Signore - rispose la donna -, non è giusto che vi informiate con tanta foga dei miei segreti, dopo aver respinto le mie domande in modo tanto laconico. Se però siete disposto a fare uno scambio e a raccontarmi della vostra sorte, io non vi nasconderò chi sono e quale è il mio regalo.
Si trovarono presto d'accordo; la donna gli confidò la sua intenzione, la storia del cane, e gli fece vedere il meraviglioso regalo. Lui levò subito dal cesto quel capolavoro della natura e prese fra le braccia il cane, che sembrava riposare beatamente. - Felice bestiola! - esclamò -, le sue mani ti toccheranno, ti renderanno viva; la vita non fuggirà davanti a lei per evitare un triste destino! Ma perché dico triste! E' molto più doloroso e temibile essere paralizzati dalla sua presenza di quanto lo sarebbe morire per mano sua! Guardatemi! - disse alla vecchia -. Che situazione miserevole devo sopportare in questi miei anni! Il destino mi ha lasciato questa corazza che ho portato con onore in guerra; questa porpora che ho cercato di meritare con un governo saggio; quella è diventata un inutile peso, questa un ornamento senza significato. Corona, scettro e spada non ci sono più, sono nudo e bisognoso come ogni altro figlio della terra, perché i suoi begli occhi blu sono così fatali da togliere forza a ogni creatura vivente, e quelli che non sono uccisi dal tocco della sua mano sono ridotti a vivere come ombre vaganti.
Continuò a lamentarsi così e non diede per niente soddisfazione alla curiosità della vecchia, che voleva essere informata non tanto del suo stato interiore quanto di quello esteriore. Non venne a sapere né il nome di suo padre né quello del suo regno. Lui accarezzava il cane irrigidito, che i raggi del sole e il petto tiepido del giovane avevano riscaldato fino a farlo sembrare vivo. Fece molte domande sull'uomo con la lampada, sugli effetti della luce miracolosa, e da questa circostanza sembrò ripromettersi molto di buono in futuro per la sua triste condizione.
Mentre parlavano, videro da lontano l'arco maestoso del ponte che si tendeva da una riva all'altra, scintillando meravigliosamente nello splendore del sole. Si stupirono tutti e due, perché questa costruzione non era mai sembrata loro tanto magnifica. - Come! - esclamò il principe -, non era già bello abbastanza quando stava là, davanti ai nostri occhi, in diaspro e cristallo di rocca? Dovremmo aver paura ad attraversarlo, perché sembra fatto di smeraldi, calcedonio e crisolito, con una varietà così piacevole? -. Nessuno dei due era a conoscenza della trasformazione avvenuta con il serpente: perché era il serpente che ogni mezzogiorno si inarcava e stava lì formando un ponte ardito. I viandanti vi salirono timorosi e lo attraversarono in silenzio.
Avevano appena toccato l'altra riva quando il ponte cominciò a oscillare e a muoversi, agitò per un attimo la superficie dell'acqua e il serpente verde, nel suo aspetto solito, scivolò dietro ai viandanti sulla terraferma. L'avevano appena ringraziato tutti e due per aver permesso loro di passare il fiume sul suo dorso, quando si accorsero che altre persone, oltre a loro tre, dovevano far parte della compagnia, anche se non riuscivano a vederle con gli occhi. Sentirono vicino a loro un mormorio, al quale il serpente rispose subito con un mormorio; ascoltarono attentamente e alla fine riuscirono a percepire queste parole:
- Prima ci guarderemo intorno in incognito nel parco della bella Lilie - dicevano due voci alternandosi -, e quando calerà la notte, appena saremo presentabili, cercheremo di portarvi al cospetto di quella bellezza perfetta. Ci incontreremo in riva al grande lago.
- Siamo intesi - rispose il serpente, e un suono sibilante si perse nell'aria.
I nostri tre viandanti si consultarono sull'ordine in cui presentarsi alla bella, perché potevano starle intorno molte persone, ma dovevano andare e venire solo una alla volta per non provocarle gravi dolori. La donna con il cane trasformato nel cesto si avvicinò per prima al giardino e cercò la sua protettrice, che non era difficile trovare, perché cantava accompagnandosi con l'arpa; i suoni soavi formavano cerchi sulla superficie tranquilla del lago, poi muovevano l'erba e i cespugli come un alito leggero. Era seduta in un verde spiazzo, all'ombra di un magnifico gruppo di alberi diversi uno dall'altro, e al primo sguardo incantò di nuovo gli occhi, l'orecchio, il cuore della donna, che si avvicinò estasiata e giurò a se stessa che la bella da quando l'aveva vista l'ultima volta era diventata ancora più bella. La brava donna salutò da lontano l'amabile fanciulla, elogiandola.
- Che felicità guardarvi; con la vostra presenza diffondete tutt'intorno il paradiso! Com'è leggiadra l'arpa che tenete in grembo, con quale dolcezza le vostre braccia la circondano, come sembra desiderosa di stare sul vostro petto, e come risuona delicata al tocco delle vostre dita sottili! Giovane tre volte felice, tu che potrai prendere il suo posto!
Pronunciando queste parole si era avvicinata; la bella Lilie aprì gli occhi, lasciò cadere le mani e rispose: - Non rattristarmi con lodi inopportune, non fai che accrescere la mia infelicità. Vedi, qui ai miei piedi giace morto il povero canarino che un tempo accompagnava piacevolmente i miei canti; era solito appoggiarsi sulla mia arpa ed era stato ammaestrato con cura a non toccarmi; oggi mentre intonavo una placida canzone mattutina, ristorata dal sonno, e il mio piccolo canterino, più vivace che mai, faceva sentire i suoni armoniosi, uno sparviero piombò sulla mia testa; la povera bestiola, spaventata, si rifugiò sul mio petto e in quell'attimo sentii gli ultimi sussulti della sua vita spezzata. Il rapace, colpito dal mio sguardo, scivolò esanime sull'acqua, ma a che serve la sua punizione, se il mio tesoro è morto e la sua tomba infoltirà solo i tristi cespugli del mio giardino!
- Fatevi animo, bella Lilie! - esclamò la donna asciugandosi una lacrima che il racconto dell'infelice fanciulla le aveva fatto spuntare -. Riprendetevi, ve lo dice la mia esperienza; dovete frenare le vostre lacrime, e guardare alla peggiore infelicità; perché l'ora è giunta.
- E in verità - proseguì la vecchia - c'è un gran disordine nel mondo. Guardate la mia mano, com'è diventata nera! E' davvero molto più piccola, devo affrettarmi prima che scompaia! Perché ho dovuto fare un piacere ai fuochi fatui, perché ho dovuto immergere la mia mano nel fiume? Non potreste darmi un cavolo, un carciofo e un cipolla? Così li porto al fiume, la mia mano tornerà bianca come prima, e potrò quasi tenerla vicino alla vostra.
- Puoi trovare ovunque cavoli e cipolle, ma cercheresti invano i carciofi. Le piante del mio grande giardino non portano né fiori né frutti; ma ogni ramoscello che spezzo e pianto sulla tomba di una persona cara rinverdisce e viene su rapidamente. Purtroppo ho visto crescere tutti questi gruppi di piante, questi cespugli, questo boschetto. Gli ombrelli di questi pini, gli obelischi di questi cipressi, i colossi delle querce e di faggi erano tutti piccoli ramoscelli piantati dalla mia mano, tristi monumenti in un terreno altrimenti sterile.
La vecchia aveva fatto poca attenzione a questo discorso e aveva osservato solo la sua mano, che in presenza della bella Lilie sembrava diventare a ogni istante sempre più nera e piccola. Voleva prendere il suo cesto e scappare via, quando si accorse di aver dimenticato la cosa più importante. Tirò subito fuori dal cesto il cane trasformato e lo depose sull'erba poco lontano dalla bella.
- Mio marito - disse - vi manda questo dono, sapete che il vostro tocco può dare vita a questa pietra preziosa. La docile bestia fedele vi darà certamente tanta gioia, e il dolore di perderla può essere alleviato dal pensiero che sarete voi a possederla. La bella Lilie guardò il docile animale con gioia e, in apparenza, anche con stupore. - Sono giunti insieme molti segni, che mi danno qualche speranza - disse -; ma, ahimè! E' solo una follia della nostra natura immaginare che il meglio sia vicino quando siamo colpiti da molta infelicità?
A che mi servono tanti segni propizi?
La morte dell'uccello, la mano nera dell'amica?
Il cane di pietra, ha forse un suo simile?
E non me l'ha mandato la lampada?
Lontana dai dolci piaceri umani,
Ho familiarità solo col dolore.
Ah! perché il tempio non è sul fiume!
Ah! perché il ponte non è costruito!
La donna aveva ascoltato con impazienza la canzone che la bella Lilie aveva accompagnato con i suoni piacevoli della sua arpa e che avrebbe deliziato chiunque. Voleva congedarsi, ma venne trattenuta dall'arrivo improvviso del serpente verde. Questi aveva sentito le ultime strofe della canzone e le infuse subito coraggio e fiducia.
- La profezia del ponte si è compiuta! - esclamò -. Chiedi a questa brava donna com'è meraviglioso ora l'arco. Quello che un tempo era diaspro opaco, quello che era solo cristallo di rocca, attraverso il quale la luce traspariva al massimo sugli spigoli, ora è diventata trasparente pietra preziosa. Nessun berillo è tanto chiaro, nessuno smeraldo ha un colore tanto bello.
- Vi auguro buona fortuna - disse Lilie -, ma perdonatemi se non credo che la profezia si sia ancora avverata. Sull'altro arco del vostro ponte possono passare solo persone a piedi e ci hanno promesso che cavalli e carrozze e viaggiatori di ogni genere potranno percorrerlo nello stesso momento in salita e in discesa. Non è stato profetizzato che dal fiume s'innalzarono da soli grandi pilastri?
La vecchia, che aveva tenuto sempre gli occhi fissi sulla mano, a questo punto interruppe il discorso e si congedò. - Aspettate ancora un momento - disse la bella Lilie -, e portate con voi il mio povero canarino. Chiedete alla lampada di trasformarlo in un bel topazio, io lo rianimerò toccandolo e insieme al vostro buon cane sarà il mio passatempo; ma fate più in fretta che potete, perché al tramonto la povera bestia comincerà a putrefarsi orribilmente e la bella armonia della sua figura sarà distrutta per sempre.
La vecchia mise il piccolo cadavere nel cesto fra tenere foglie e si allontanò in fretta.
- Comunque sia - disse il serpente riprendendo il discorso interrotto -, il tempio è edificato.
- Ma non è ancora sul fiume - rispose la bella.
- Si trova ancora nelle profondità della terra - disse il serpente -; ho visto i re e ho parlato con loro.
- Ma quando si alzeranno? - chiese Lilie.
Il serpente rispose: - Ho sentito echeggiare nel tempio le grandi parole: "L'ora è giunta".
Una quieta serenità si diffuse sul viso della bella. - Oggi sento queste parole felici per la seconda volta - disse -; quando verrà il giorno in cui le sentirò per la terza volta?
Si alzò e subito dal boschetto uscì una graziosa fanciulla che le tolse l'arpa. A lei ne seguì un'altra, che chiuse la sedia intagliata, dalle undici gambe, su cui sedeva la bella, e si mise sotto il braccio il cuscino d'argento. Poco dopo ne apparve una terza, che portava un grande parasole ricamato di perle, e restò in attesa, nel caso che Lilie avesse bisogno di lei per fare una passeggiata. Queste tre fanciulle erano belle e vivaci oltre ogni dire; eppure non facevano che accrescere la bellezza di Lilie, perché chiunque doveva ammettere che non si poteva paragonarle a lei.
Intanto la bella Lilie aveva contemplato con piacere il meraviglioso cane. Si chinò, lo toccò e in quell'attimo lui si sollevò. Si guardò attorno con vivacità, corse avanti e indietro e alla fine andò a salutare allegramente la sua benefattrice. Lei lo prese e lo strinse a sé. - Malgrado tu sia freddo e vivo solo a metà - esclamò -, sei il benvenuto; ti amerò teneramente, scherzerò con te, ti accarezzerò con affetto, e ti stringerò forte al mio cuore -. Poi lo lasciò libero, lo mandò lontano, lo richiamò, scherzò così piacevolmente e saltellò insieme con lui sull'erba così allegramente che era impossibile non guardare la sua gioia con un piacere nuovo e non prendervi parte, come poco prima la sua tristezza aveva suscitato compassione in tutti i cuori.
Questa allegria, questi piacevoli scherzi vennero interrotti dall'arrivo del giovane triste. Entrò con l'aspetto che già gli conosciamo, solo che il calore della giornata sembrava averlo spossato ancora di più, e in presenza dell'amata diventò a ogni istante più pallido. Portava sulla mano lo sparviero, che stava appoggiato con le ali chiuse, quieto come una colomba.
- Non è gentile - esclamò Lilie - che tu mi porti davanti l'odiosa bestia, il mostro che oggi ha ucciso il mio canarino.
- Non rimproverare il povero uccello! - ribatté il giovane -; accusa piuttosto te stessa e il destino, e concedimi di stare insieme al compagno delle mie miserie.
Intanto il cane non smetteva di stuzzicare la bella e lei rispondeva al suo trasparente tesoro comportandosi nel modo più affettuoso. Batteva le mani per allontanarlo; poi correva per farlo tornare da lei. Quando scappava cercava di acchiapparlo, e poi lo mandava via quando lui tentava di avvicinarsi. Il giovane li guardava in silenzio e con fastidio crescente; ma alla fine, quando lei prese in braccio l'odiosa bestia che suscitava la sua avversione, la strinse al petto e le baciò il muso nero con le sue labbra celestiali, perse la pazienza e gridò disperato: Io che vivo davanti a te ma separato da te, forse per sempre, a causa di un triste destino; io che a causa tua ho perso tutto, anche me stesso, devo vedere con i miei occhi che un mostro contro natura riesce a suscitare la tua gioia, a incatenare il tuo affetto e a godere dei tuoi abbracci. Dovrò andare avanti e indietro ancora a lungo, misurando questo triste circolo di qua e di là dal fiume? No, nel mio petto c'è ancora una scintilla dell'antico eroismo; in quest'istante fiammeggerà per l'ultima volta. Se le pietre possono poggiare sul tuo petto, allora diventerò una pietra; se il tuo tocco uccide, allora morirò di tua mano.
Dicendo queste parole fece un movimento impetuoso; lo sparviero volò dalla sua mano, e lui si avventò sulla bella, che tese le mani per fermarlo e lo toccò ancor prima. La coscienza l'abbandonò e lei sentì con orrore quel bel peso contro il suo petto. Indietreggiò con un grido e il dolce giovane scivolò a terra esanime dalle sue braccia. La disgrazia era capitata! La dolce Lilie restò immobile a fissare il corpo inanimato. Le sembrò che il cuore si fermasse nel petto e i suoi occhi erano asciutti. Il cane cercò inutilmente di strapparle un gesto affettuoso; il mondo intero era morto insieme all'amico. Nella sua muta disperazione non si guardò intorno in cerca di aiuto, perché non conosceva aiuto.
Invece il serpente si mosse con sveltezza, sembrò riflettere sul modo di salvarlo, e in effetti i suoi strani movimenti servivano almeno a impedire per qualche tempo le conseguenze più spaventose e immediate della disgrazia. Con il suo corpo flessibile tracciò un ampio cerchio intorno al cadavere, afferrò l'estremità della coda con i denti e rimase fermo là.
Poco dopo apparve una delle belle cameriere di Lilie, portò la sedia dalle undici gambe e con gesto affettuoso costrinse la bella a sedersi; subito dopo arrivò la seconda con un velo color del fuoco, che adornò il capo della sua padrona più che coprirlo; la terza le diede l'arpa, e appena lei strinse a sé il meraviglioso strumento, traendo alcuni suoni dalle corde, la prima tornò con uno specchio lucente e rotondo e si fermò di fronte alla bella, attirò i suoi sguardi e le presentò l'immagine più piacevole che si potesse trovare in natura. Il dolore aumentava la sua bellezza, il velo il suo fascino, l'arpa la sua grazia, e ognuno sperava di veder cambiare il suo triste stato quanto si augurava di trattenere per sempre la sua immagine come appariva in quel momento.
Con lo sguardo tranquillo fisso sullo specchio, ora traeva dalle corde suoni melodiosi, ora il dolore pareva crescere, e le corde rispondevano con forza alla sua pena; aprì la bocca per cantare diverse volte, ma la voce le mancava, e allora il suo dolore si sciolse in lacrime, due fanciulle la presero pietosamente per le braccia, l'arpa le scivolò dal grembo, la cameriera riuscì appena ad afferrarla con un gesto rapido e la portò via.
- Chi ci porterà l'uomo con la lampada prima che il sole tramonti? - Bisbigliò piano, ma in modo percettibile il serpente; le fanciulle si guardarono, e le lacrime di Lilie si moltiplicarono. In quel momento arrivò, senza fiato, la donna con il cesto. - Sono perduta e storpiata! - esclamò -. Guardate, la mia mano è quasi scomparsa; né il barcaiolo né il gigante hanno voluto farmi traghettare, perché sono ancora in debito con l'acqua; ho offerto inutilmente cento cavoli e cento cipolle, vogliono solo i tre pezzi e non si riesce a trovare nemmeno un carciofo in questo posto.
- Dimenticate le vostre preoccupazioni - disse il serpente -, e cercate di aiutarci; forse questo potrà aiutare anche voi. Andate il più in fretta possibile in cerca dei fuochi fatui, è ancora troppo chiaro per vederli, ma forse li sentirete ridere e chiacchierare. Se si affrettano, il gigante li porterà al di là del fiume, così potranno trovare l'uomo con la lampada e mandarlo qui.
La donna fece più in fretta che poté, e il serpente sembrò aspettare il ritorno dei due con la stessa impazienza di Lilie. Purtroppo i raggi del sole che tramontava indoravano già le cime più alte degli alberi della boscaglia e grandi ombre si allungavano sul lago e i prati; il serpente si agitò con impazienza e Lilie si sciolse in lacrime.
In preda a quest'ansia il serpente si guardava intorno, temendo a ogni istante che il sole tramontasse, che la putrefazione penetrasse nel cerchio magico e colpisse inesorabilmente il bel giovane. Alla fine guardò in alto nell'aria lo sparviero dalle penne rosso porpora, il cui petto raccoglieva gli ultimi raggi del sole. Sussultò dalla gioia per il segno propizio, e non si ingannava; infatti poco dopo si vide l'uomo con la lampada che scivolava sul lago, come se camminasse sui pattini.
Il serpente non cambiò posizione, mentre Lilie si alzò esclamando: - Quale spirito benigno ti manda nel momento in cui ti abbiamo tanto desiderato e abbiamo tanto bisogno di te?
- Lo spirito della mia lampada mi ha spinto - rispose il vecchio - e lo sparviero mi ha guidato qua. Quando c'è bisogno di me scintilla, e io guardo nell'aria in cerca di un segno; un uccello o una meteora mi indicano verso quale regione del cielo io debba dirigermi. Sta' tranquilla, bella fanciulla! Non so se potrò essere d'aiuto; non può esserlo un'unica persona, ma solo chi si unisce a molti altri al momento giusto. Aspettiamo e speriamo.
- Tieni chiuso il cerchio - continuò rivolgendosi al serpente; poi andò a sedersi vicino a lui, sopra un cumulo di terra, e illuminò il corpo inanimato.
- Portate qui il dolce canarino e ponetelo nel cerchio! -. Le fanciulle presero il piccolo cadavere dal cesto che la donna aveva lasciato lì e obbedirono all'uomo.
Intanto il sole era tramontato, e, mentre l'oscurità cresceva, il serpente e la lampada dell'uomo cominciarono a fare luce a modo loro, e anche il velo di Lilie diffondeva intorno a sé una tenue luce, che colorava le sue guance pallide e la sua veste bianca con leggiadria infinita, come una delicata aurora. Si guardarono l'un l'altro in silenzio, l'ansia e la tristezza erano mitigate da una speranza certa. Videro comparire con piacere la vecchia in compagnia delle due allegre fiamme, che intanto dovevano aver sperperato molto, perché erano diventate di nuovo parecchio sottili, ma non per questo si mostrarono meno garbate con la principessa e le sue cameriere. Dissero le solite cose con grande sicurezza e in modo molto espressivo, si mostrarono soprattutto molto sensibili al fascino che il velo luminoso conferiva a Lilie e alle sue compagne. Le fanciulle abbassarono gli occhi con modestia e l'elogio alla loro bellezza le rese davvero belle. Tutti erano contenti e tranquilli tranne la vecchia. Nonostante il marito le assicurasse che la sua mano non poteva ritirarsi ancora, finché la sua lampada l'avesse illuminata, lei dichiarò più di una volta che se continuava così il suo nobile arto sarebbe sparito prima di mezzanotte.
Il vecchio con la lampada aveva ascoltato con attenzione il discorso dei fuochi fatui ed era felice che la conversazione avesse distratto e rasserenato Lilie. E in effetti, non si sa come, si era fatta mezzanotte. Il vecchio guardò le stelle e cominciò a parlare: - Siamo riuniti in un'ora felice, ognuno compia il suo compito, ognuno faccia il suo dovere, e i singoli dolori si dissolveranno in una felicità generale, come un'infelicità generale distrugge le singole gioie.
Dopo queste parole si sentì un rumore meraviglioso, perché tutte le persone presenti parlavano per sé e dicevano a voce alta quello che dovevano fare. Solo le tre fanciulle tacevano; una era addormentata vicino all'arpa, l'altra vicino al parasole, la terza vicino alla sedia, e non si poteva dar loro torto perché era molto tardi. Le giovani fiamme, dopo alcuni complimenti rivolti all'inizio anche alle cameriere, alla fine si limitarono a Lilie, la più bella di tutte. - Prendi lo specchio - disse il vecchio allo sparviero -, e illumina le fanciulle addormentate con il primo raggio di sole e svegliale con la luce che si riflette dall'alto.
Il serpente cominciò a muoversi, aprì il cerchio e si diresse lentamente, a grandi spire, verso il fiume. I due fuochi fatui lo seguirono solenni, e si sarebbe potuto crederli fiamme assai serie. La vecchia e suo marito afferrarono il cesto, la cui tenue luce finora si era vista appena, tirarono dai due lati facendolo diventare sempre più grande e luminoso, vi deposero il corpo del giovane e gli posarono sul petto il canarino, il cesto si alzò in alto e si librò sulla testa dei vecchi, e seguì da vicino i fuochi fatui. La bella Lilie prese in braccio il cane e seguì la vecchia, l'uomo con la lampada chiuse il corteo, e il luogo era illuminato in modo straordinario da tutte queste luci diverse.
Ma la compagnia, raggiunto il fiume, vide con non poco stupore che un arco meraviglioso s'innalzava sull'acqua; il benevolo serpente aveva preparato per loro una via scintillante. Se di giorno avevano ammirato le trasparenti pietre preziose di cui pareva fatto il ponte, ora, di notte, si stupirono del suo luminoso splendore. L'arco lucente si stagliava netto verso l'alto contro il cielo scuro, ma in basso vividi raggi guizzavano verso il centro e rivelavano la saldezza flessibile della costruzione. Il corteo avanzava lentamente, e il barcaiolo che guardava da lontano, dalla sua capanna, contemplò stupito la curva luminosa e le strane luci che la percorrevano.
Avevano appena raggiunto l'altra riva quando l'arco cominciò a oscillare e ad avvicinarsi all'acqua ondeggiando. Il serpente poco dopo toccò terra, e il cesto si posò sul terreno, e il serpente formò di nuovo il suo cerchio; il vecchio si chinò davanti a lui e gli disse: - Che hai deciso?
- Di sacrificarmi prima di essere sacrificato - rispose il serpente -; promettimi che non lascerai nessuna pietra sulla terraferma.
Il vecchio promise e disse alla bella Lilie: - Tocca il serpente con la mano sinistra e il tuo innamorato con la destra.
Lilie s'inginocchiò e toccò il serpente e il cadavere. Nello stesso istante questi sembrò rivivere, si mosse nel cesto, si sollevò e si mise a sedere. Lilie voleva abbracciarlo, ma il vecchio la trattenne, aiutò il giovane ad alzarsi e lo guidò per farlo uscire dal cesto e dal cerchio.
Il giovane stava in piedi, il canarino svolazzò sulla sua spalla, in tutti e due era tornata la vita, ma lo spirito non era ancora tornato in loro; il bell'amico aveva aperto gli occhi e non vedeva, o almeno sembrava guardare ogni cosa senza nessuna partecipazione, e appena lo stupore di fronte a quest'evento si attenuò un po', si accorsero dello straordinario mutamento del serpente. Il suo bel corpo slanciato si era frantumato in mille e mille pietre preziose lucenti; la vecchia l'aveva urtato sbadatamente, cercando di afferrare il suo cesto, e la forma del serpente non si vedeva più, sull'erba vi era solo un bel cerchio di pietre preziose.
Il vecchio si mise subito a raccogliere le pietre nel cesto, facendosi aiutare dalla moglie. Insieme portarono il cesto sulla riva in un punto elevato, e lui scosse l'intero contenuto nel fiume, non senza riluttanza da parte della bella e della moglie, che avrebbero scelto volentieri qualcosa per loro. Le pietre galleggiarono sulle onde come stelle lucenti e brillanti e non si riusciva a capire se si perdevano in lontananza o andavano a fondo.
- Signori - disse il vecchio con deferenza ai fuochi fatui -, ora vi indicherò la strada e vi aprirò un passaggio, ma voi ci renderete un grande servizio aprendoci le porte del tempio, attraverso le quali dovremo passare questa volta, e che nessuno all'infuori di voi può dischiudere.
I fuochi fatui si inchinarono educatamente e rimasero indietro. Il vecchio con la lampada li precedette fra le rocce che si aprivano davanti a lui; il giovane lo seguì in modo meccanico; silenziosa e incerta Lilie si teneva a una certa distanza da lui; la vecchia non intendeva restare indietro e tese la mano, in modo che la luce della lampada di suo marito potesse illuminarla. I fuochi fatui chiusero il corteo; piegarono le punte delle loro fiamme una verso l'altra e sembrava parlassero tra di loro.
Non avevano camminato a lungo, quando il corteo si trovò davanti a una grande porta di bronzo, le cui ante erano chiuse da una serratura d'oro. Il vecchio chiamò subito i fuochi fatui, che senza farsi sollecitare a lungo consumarono alacremente con le loro fiamme appuntite serratura e chiavistello.
Il bronzo risuonò forte quando le porte si aprirono rapidamente e nel santuario apparvero le dignitose statue dei re, illuminate dalle luci che penetravano all'interno. Tutti si inchinarono davanti ai venerabili dominatori; i fuochi fatui, in particolare, non mancarono di eseguire bizzarri inchini.
Dopo una pausa il re d'oro chiese: - Da dove venite?
- Dal mondo - rispose il vecchio.
- Dove andate? - chiese il re d'argento.
- Nel mondo - disse il vecchio.
- Che volete da noi? - chiese il re di bronzo.
- Accompagnarvi - disse il vecchio.
Il re composito voleva cominciare a parlare, quando il re d'oro disse ai fuochi fatui che gli si erano avvicinati: Allontanatevi da me, il mio oro non è per il vostro palato -. Si rivolsero subito verso quello d'argento e si strinsero a lui; la sua veste risplendeva magnificamente dei loro riflessi gialli. - Siete i benvenuti - disse -, ma non posso nutrirvi; saziatevi in un altro posto e portatemi la vostra luce.
Si allontanarono, passarono davanti a quello di bronzo, che sembrò non accorgersi di loro, e scivolarono fino a quello composito.
- Chi dominerà il mondo? - chiese con voce balbettante.
- Chi si regge sui suoi piedi! - rispose il vecchio.
- Sono io! - disse il re composito.
- Questo si saprà - disse il vecchio -, perché l'ora è giunta.
La bella Lilie si aggrappò al collo del vecchio e lo baciò con affetto. - Venerabile padre disse -, ti sono mille volte grata, perché sento per la terza volta la parola presaga -. Aveva appena finito di parlare quando si strinse ancora più forte al vecchio, perché la terra aveva cominciato a tremare sotto di loro. Anche la vecchia e il giovane si tennero stretti, solo i mobili fuochi fatui non si accorsero di nulla.
Si poteva sentire distintamente che tutto il tempio si muoveva, come una nave che si allontana dolcemente dal porto quando l'ancora viene levata; le profondità della terra sembrarono schiudersi davanti a lui per farlo passare. Non incontrò nulla, neppure una roccia gli sbarrò la strada.
Per qualche istante una pioggia sottile parve cadere dall'apertura della cupola; il vecchio tenne più stretta la bella Lilie e le disse: - Siamo sotto il fiume, vicini alla meta. Poco dopo credettero di essere fermi, ma si ingannavano; il tempio salì verso l'alto. E sulle loro teste si sentì un singolare frastuono. Assi e travi cominciarono a precipitare alla rinfusa schiantandosi contro l'apertura della cupola. Lilie e la vecchia balzarono di lato, l'uomo con la lampada afferrò il giovane e rimase immobile. La piccola capanna del barcaiolo - era lei, infatti, che il tempio salendo aveva divelto e accolto in sé - discese lentamente fino a coprire il giovane e il vecchio.
Le donne gridarono forte, e il tempio tremò come una nave che tocca terra inaspettatamente. Le donne si aggiravano angosciate nella penombra intorno alla capanna, la porta era chiusa e nessuno rispose ai loro colpi. Bussarono con più violenza e si stupirono non poco quando, alla fine, il legno cominciò a risuonare. In virtù della forza racchiusa nella lampada la capanna era diventata tutta d'argento. Poco dopo cambiò addirittura aspetto: perché il nobile metallo abbandonò le forme casuali delle assi, delle porte e delle travi, e si ampliò fino a diventare una magnifica costruzione lavorata a sbalzo. Un piccolo tempio magnifico si ergeva al centro di quello grande, o se si vuole, un altare degno del tempio.
Il nobile giovane si avviò verso l'alto, su una scala che saliva dall'interno, l'uomo con la lampada gli faceva luce, e un altro, che era apparso in una corta veste bianca e teneva in mano un remo, pareva sorreggerlo; riconobbero subito il barcaiolo che un tempo abitava nella capanna trasformata.
La bella Lilie salì gli ultimi gradini che portavano dal tempio all'altare, ma doveva continuare a tenersi lontana dal suo innamorato. La vecchia, la cui mano era diventata sempre più piccola mentre la lampada era stata nascosta, gridò: - Devo essere ancora più infelice? Fra tanti prodigi, nessuno può salvare la mia mano?
Suo marito indicò la porta aperta e disse: - Guarda, è spuntato il giorno, corri a bagnarti nel fiume.
- Che consiglio! - esclamò lei -. Diventerò tutta nera e scomparirò completamente, perché non ho ancora pagato il mio debito.
- Va' - disse il vecchio -, dammi ascolto! Tutti i debiti sono saldati.
La vecchia si allontanò in fretta, e in quel momento la luce del sole che sorgeva apparve sulla corona della cupola, il vecchio si mise fra il giovane e la fanciulla ed esclamò a voce alta: Tre sono le cose che dominano sulla Terra: la saggezza, l'apparenza e la forza -. Alla prima parola il re d'oro si alzò, alla seconda quello d'argento e alla terza si era sollevato lentamente quello di bronzo, quando il re composito, all'improvviso, si mise a sedere goffamente.
Chi lo guardava, a dispetto del momento solenne, poté trattenersi a fatica dal ridere, perché non era seduto, non era disteso, non era appoggiato, ma era crollato scompostamente.
I fuochi fatui, che fino a quel momento si erano affaccendati intorno a lui, si scostarono; malgrado la luce pallida del mattino parevano di nuovo ben nutriti e con le fiamme vivide; avevano succhiato abilmente, fino in fondo, con le loro lingue affilate, la venatura d'oro della colossale statua. Gli spazi vuoti irregolari che si erano creati rimasero aperti per un po', e la figura conservò la sua antica forma. Ma quando, alla fine, anche le venature più sottili furono consumate, la statua crollò all'improvviso, e purtroppo proprio nei punti che restano interi quando l'uomo si siede; invece le articolazioni, che avrebbero dovuto piegarsi, rimasero rigide. Chi non riuscì a riderne dovette distogliere gli occhi; quella via di mezzo tra forma e ammasso era ripugnante a vedersi.
L'uomo con la lampada fece scendere dall'altare il bel giovane, che però continuava a guardare fisso davanti a sé, e lo portò davanti al re di bronzo. Ai piedi del potente principe era posata una spada, in una guaina di bronzo. Il giovane la cinse.La spada a sinistra, la destra libera! - esclamò il potente re.
Poi andarono da quello d'argento, che abbassò il suo scettro verso il giovane. Questi lo prese con la mano sinistra, e il re disse con voce cortese: - Pascola le pecore!
Quando giunsero dal re d'oro, egli pose in testa al giovane la corona di foglie di quercia con un gesto di paterna benedizione e disse: - Riconosci il sommo bene!
Durante questi discorsi il vecchio aveva osservato attentamente il giovane. Dopo aver cinto la spada il suo petto si sollevò, le sue braccia si mossero e i suoi piedi si fecero più saldi; prendendo in mano lo scettro la forza sembrò attenuarsi e insieme diventare più potente in virtù di una grazia indicibile; ma quando la corona di foglie di quercia ornò i suoi riccioli, i tratti del suo viso si animarono, i suoi occhi risplendettero di uno spirito ineffabile, e la prima parola sulle sue labbra fu Lilie.
- Cara Lilie! - esclamò salendo la scala d'argento per andarle incontro: infatti lei aveva osservato il suo giro dalla sommità dall'altare -. Cara Lilie, cosa può desiderare un uomo che ha tutto, oltre all'innocenza e al tranquillo affetto che il tuo cuore mi offre? Oh, amico mio - continuò rivolgendosi al vecchio e guardando le tre statue sacre -, il regno dei nostri padri è splendido e sicuro, ma tu hai dimenticato la quarta forza che domina il mondo, ancora più certa, la forza dell'amore. A queste parole si gettò al collo della bella fanciulla; lei si era liberata del velo e le sue guance si tinsero del più bel rossore immortale. Il vecchio replicò sorridendo: - L'amore non domina, ma forma, e questo è molto di più.
Fra tanta solennità, felicità ed estasi, non si erano accorti che era giorno pieno, e all'improvviso attraverso la porta aperta apparvero alla compagnia oggetti del tutto inaspettati. Un grande spazio circondato da colonne costituiva l'atrio, al termine del quale si vedeva un lungo e magnifico ponte, che si tendeva sul fiume con molte arcate; su entrambi i lati era disposto uno splendido e comodo colonnato per i viandanti, che si erano già riuniti là a migliaia e andavano avanti e indietro alacremente. La grande strada nel mezzo era animata da un flusso di greggi, bestie da soma, cavalieri e carrozze che la percorrevano in tutte e due le direzioni senza urtarsi. Tutti sembravano stupiti della comodità e della magnificenza del ponte, e il nuovo re e sua moglie erano incantati dal movimento e dalla vita di questo grande popolo, così come il loro amore reciproco li rendeva felici.
- Onora la memoria del serpente - disse l'uomo con la lampada ; tu gli devi la vita, le tue genti il ponte, in virtù del quale queste rive vicine saranno unite e diventeranno paesi popolati. Quelle pietre preziose scintillanti che galleggiano, resti del suo corpo sacrificato, sono i pilastri che reggono questo ponte meraviglioso, che si è costruito da solo e si sosterrà da solo su di essi.
Gli chiesero una spiegazione del prodigioso segreto, quando dalla porta del tempio entrarono quattro belle fanciulle. Riconobbero subito le tre compagne di Lilie, dall'arpa, dal parasole e dalla sedia, ma la quarta, più bella delle altre, era uno sconosciuta che attraversò il tempio e salì i gradini d'argento scherzando fraternamente con loro. - In un futuro mi crederai di più, cara donna? - disse l'uomo con la lampada alla bella -. Salute a te e a ogni creatura che questa mattina si bagnerà nel fiume!
La vecchia ringiovanita e imbellita, del cui aspetto non era rimasta traccia, circondò con braccia giovani e rinvigorite l'uomo con la lampada, il quale accolse le sue carezze con affetto. - Se sono troppo vecchio per te - disse sorridendo -, oggi potrai sceglierti un altro sposo; da oggi in poi non è più valido nessun matrimonio che non venga concluso di nuovo.
- Non sai che anche tu sei diventato più giovane? - rispose lei.
- Sono contento se i tuoi occhi giovani mi vedono come un giovane gagliardo; accetto di nuovo la tua mano, e sarò felice di vivere con te per il prossimo millennio.
La regina diede il benvenuto alla sua nuova amica e scese con lei e le altre compagne di giochi dall'altare, mentre il re in mezzo ai due uomini guardava verso il ponte osservando attentamente il brulichio del popolo.
Ma la sua contentezza non durò a lungo; vide infatti qualcosa che gli procurò un po' di disappunto. Il grande gigante, che non sembrava essersi ripreso ancora dal sonno del mattino, avanzò barcollando sul ponte, causando un gran disordine. Come al solito si era alzato ubriaco di sonno e intendeva bagnarsi nella solita insenatura del fiume; al suo posto trovò la terraferma e brancolò sui larghi pilastri del ponte. Anche se si muoveva fra uomini e animali in modo molto maldestro, la sua presenza venne considerata da tutti con meraviglia, ma nessuno si spaventò; quando però il sole abbagliò i suoi occhi, e lui alzò le mani per ripararsi, l'ombra dei suoi enormi pugni dietro di lui passò tra la folla in modo così violento e goffo che uomini e bestie precipitarono in massa, si ferirono e corsero il rischio di essere gettati nel fiume.
Il re, che aveva osservato l'incidente, cercò la spada con un movimento inconsulto, poi si ricompose, guardò con calma il suo scettro, la lampada e il remo dei suoi compagni. - Indovino i tuoi pensieri - disse l'uomo con la lampada, - ma noi con le nostre forze siamo inermi di fronte a quest'inerme. Sta' tranquillo! Nuoce per l'ultima volta, e per fortuna la sua ombra ci abbandonerà.
Intanto il gigante si era avvicinato sempre più, aveva lasciato cadere le mani per lo stupore di quello che vedeva, non provocò più nessun danno ed entrò nell'atrio a bocca aperta.
Arrivato alla porta del tempio, all'improvviso venne trattenuto al suolo in mezzo al cortile. Rimase là come una colossale e poderosa statua di pietra lucente e rossastra, e la sua ombra segnò le ore in un cerchio tracciato a terra intorno a lui, non in cifre ma in immagini nobili e significative.
Il re si rallegrò non poco nel vedere come fosse diventata utile l'ombra del gigante; non poco si meravigliò la regina, quando salì sull'altare insieme con le sue fanciulle, adornata con magnificenza, e vide il singolare quadro, che copriva quasi la vista del ponte dal tempio.
Intanto il popolo, poiché il gigante stava fermo, si affollò intorno a lui, lo circondò e lo osservò con stupore. Di lì la moltitudine si rivolse al tempio, di cui sembrò accorgersi solo allora, e si affollò sulla porta.
In quel momento lo sparviero con lo specchio si librò in alto sul tempio, raccolse la luce del sole e la diresse sul gruppo che stava sull'altare. Il re, la regina e i loro accompagnatori apparvero nella volta in penombra illuminati da uno splendore celeste, e il popolo si prosternò. Quando la moltitudine si riprese e si rialzò, il re con i suoi stava scendendo dall'altare, per raggiungere il suo palazzo attraverso sale nascoste, e il popolo si disperse nel tempio per appagare la sua curiosità. Contemplò con stupore misto a rispetto i tre re in piedi, ma era ancora più avido di sapere quale ammasso potesse nascondersi sotto il tappeto nella quarta nicchia; infatti, chiunque fosse stato, con ragionevole ritegno aveva steso sul re crollato una splendida coperta, che nessun occhio umano poteva penetrare e che nessuna mano avrebbe osato togliere.
Il popolo non avrebbe più smesso di guardare e di stupirsi, e la moltitudine incalzante sarebbe rimasta schiacciata nel tempio, se la sua attenzione non si fosse rivolta nuovamente alla grande piazza.
Monete d'oro parevano cadere inaspettatamente dall'aria, risuonando sulle lastre di marmo, i viandanti si precipitarono per impadronirsene; e questo prodigio si ripeté ora in un punto, ora in un altro. Certamente i fuochi fatui, andandosene, si stavano divertendo un'altra volta, e spargevano allegramente l'oro delle membra del re crollato. Il popolo avido continuò a correre da ogni parte, si urtò e continuò ad affannarsi anche quando le monete non caddero più. Alla fine si disperse lentamente, si incamminò per la sua strada, e fino a oggi il ponte ha brulicato di viandanti, e il tempio è il più frequentato di tutta la Terra.

mercoledì, maggio 25, 2005

Sulla famiglia: come cambia in Italia

ROMA - "Negli ultimi anni la società italiana si è dimostrata più dinamica dell'economia": è così che il coordinatore del Rapporto Istat 2004 Giovanni Barbieri introduce la parte dello studio dedicata ai cambiamenti sociali e delle famiglie in particolare. A fronte dell'aumento delle convivenze e della riduzione delle famiglie 'a tre generazioni', fattori che ci avvicinano al resto dell'Europa e dei Paesi industrializzati, si registra però un corposo aumento delle convivenze forzate tra genitori e figli adulti disoccupati o sottoccupati, una inevitabile conseguenza negativa della crisi dell'economia.


Diminuiscono le famiglie con nonni e figli. Le famiglie a due o più generazioni (cioè con i figli, nel primo caso, e con nonni e figli nel secondo) passano dal 58,8% del 1993-1994 al 53,2% del 2003. Di conseguenza aumentano le famiglie con una sola generazione, che passano dal 41,3% al 46,8%. In particolare diminuiscono le coppie con figli, che passano dal 48 al 41,9%, mentre le persone sole passano dal 21,1 al 25,8%.

Crescono le 'libere unioni'. Raddoppiano le coppie non coniugate, che passano da 227.000 nel 1993-1994 a 555.000 nel 2003. E non si tratta più di convivenze 'pre' o 'post' matrimonio, ma tendenzialmente stabili: passa infatti dal 18,4 al 25,1% la quota di chi non prevede in futuro il matrimonio. Le coppie di fatto aumentano anche all'interno delle famiglie 'ricostituite', quelle cioè nelle quali almeno uno dei partner proviene da un precedente matrimonio: passano infatti dal 26,5 al 40,3%.

In aumento i Tanguy. Le difficoltà del mondo del lavoro costringono i nostri giovani a imitare il protagonista del film di Chatiliez, e così aumenta in modo significativo la percentuale dei giovani tra i 25 e i 34 anni che vivono ancora nella famiglia di origine, che passa dal 25,8% del 1993-1994 al 34,9% del 2003, sopravanzando ormai la percentuale dei loro coetanei che vivono in coppia con figli (che diminuisce dal 41,9 al 27,9%). Si registra un sensibile calo della percentuale dei giovani che dichiarano di "star bene così".



Triplicate le famiglie con stranieri. Le famiglie con almeno un componente straniero sono quasi triplicate nel decennio tra un censimento e l'altro (dal 1991 al 2001), passando da 235.000 a oltre 672.000.

Permane il sovraccarico familiare delle donne. Nel 2003 le donne occupate di 25-44 anni hanno dedicato cinque ore al giorno al lavoro familiare, contro due ore e un quarto dei loro partner maschi). Mentre al lavoro fuori casa hanno dedicato sei ore e trenta minuti contro otto ore e venti minuti degli uomini. Rispetto a 14 anni prima, nel 2003 si comprime comunque in media di 33 minuti il tempo dedicato al lavoro familiare dalle donne in coppia. E cambia anche la composizione di questo tempo: rispetto al 1989 le donne occupate dedicano più tempo ai figli piccoli (28 minuti in più) e ridocono l'impegno dei servizi domestici (46 minuti in meno).

Aumentano i bambini che vanno al nido. Nel 1998 andavano al nido 140.000 bambini da 0 a due anni; nel 2003 si è passati a 240.000, un aumento assorbito, spiegano all'Istat, "quasi esclusivamente dalle strutture private". Che costano di più: in media 273 euro al mese contro i 145 euro al mese delle strutture pubbliche. La carenza di strutture e servizi a sostegno delle famiglie pesa soprattutto sulle donne: in 724.000 hanno infatti dichiarato che sarebbero disposte a modificare la loro condizione nel mercato del lavoro, in presenza di un maggiore sostegno. Le occupate part-time (160.000) passerebbero al full-time, mentre 564.000 donne attive si metterebbero alla ricerca di un'occupazione.

lunedì, maggio 23, 2005

La nascita del Debito Pubblico

Giornali e televisioni ogni tanto ci dicono che il popolo italiano ha un mostruoso debito pubblico, ma nessuno ci dice verso chi siamo debitori. Apparentemente la cosa non è semplice da spiegare, in effetti la spiegazione è semplicissima. Per farla capire dobbiamo tuttavia rifarci al 1861. L'anno dell'unità d'Italia.



Nel 1849 si costituiva in Piemonte la Banca Nazionale degli Stati Sardi, di proprietà privata. L'interessato Cavour che aveva infatti propri interessi in quella banca; impose al parlamento savoiardo di affidare a tale istituzione compiti di tesoreria dello Stato. Si ebbe, quindi, una banca privata che emetteva e gestiva denaro dello Stato! A quei tempi l'emissione di carta moneta veniva fatta solo dal Piemonte, al contrario il Banco delle Due Sicilie emetteva monete d'oro e d'argento. La carta moneta del Piemonte aveva anch'essa una riserva d'oro (circa 20 milioni), ma il rapporto era che ogni tre lire di carta valevano una lira d'oro. Il fatto è che, per le continue guerre che i savoiardi facevano, quel simulacro di convertibilità in oro andò a farsi benedire, sicché ancor prima del 1861 la carta moneta piemontese era diventata carta straccia per l'emissione incontrollata che se ne fece.


Avvenuta la conquista di tutta la penisola, i piemontesi misero le mani nelle banche degli Stati appena conquistati. Naturalmente la Banca Nazionale degli Stati Sardi divenne, dopo qualche tempo, la Banca d'Italia. Avvenuta l'occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete d'oro per trasformarle in carta moneta secondo le leggi piemontesi, poiché in tal modo i Banchi (del bistrattato Sud) avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e così facendo sarebbero potuti diventare padroni di tutto il mercato finanziario italiano.
Invece quell'oro piano piano passò nelle casse piemontesi. Tuttavia, nonostante tutto quell'oro rastrellato al Sud, la nuova Banca d'Italia risultò non avere parte di quell'oro nella sua riserva. Evidentemente aveva preso altre vie, che erano quelle del finanziamento per la costituzione di imprese al nord operato da banche, subito costituite per l'occasione, che erano socie (!) della Banca d'Italia: Credito mobiliare di Torino, Banco Sconto e Sete di Torino, Cassa generale di Genova e Cassa di sconto di Torino.



Le ruberie operate e l'emissione non controllata della carta moneta ebbero come conseguenza che ne fu decretato già dal 1 MAGGIO 1866, il corso forzoso, cioè la lira carta non poté più essere cambiata in oro.
Da qui incominciò a nascere il Debito Pubblico: lo Stato cioè per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta a una banca privata. Lo Stato, quindi, a causa del genio di Cavour e soci, ha ceduto da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta).


dal sito http://www.cronologia.it

domenica, maggio 22, 2005

Distanza di veduta

> Se lo Stato stampasse la propria moneta, come conia le proprie monetine, si
> estinguerebbe di colpo il mostruoso Debito Pubblico che grava su tutti Noi,
> i Nostri Figli e quindi il Nostro Futuro.

Puttanate. Ma tanto sei in malafede.
Ti sfido. A quanto ammonta il reddito da signoraggio e a quanto ammonta
il debito pubblico? Dai che ci facciamo due risate con ste panzane.
Scomettiamo che non mi rispondi?

> Lo Stato tipografo
> Facciamo un esempio: lo Stato paga un Dipendente Pubblico 1.400 euro, che in
> contanti equivale ad un mazzetto di 14 banconote da 100 euro nominali
> (valore nominale = di facciata, quanto stampato sulla carta-moneta).
> Attualmente ogni banconota costa allo Stato 100 euro, più gli interessi
> (mettiamo che il Tasso di Sconto, che è il costo del denaro tra Banca
> Centrale e Banche Locali, è al 2,5% e che si applichi anche allo Stato).
> Al Banchiere la stessa Banconota costa 3 centesimi di euro (3 eurocent =
> 0,03 euro = valore intrinseco = costo di produzione = costo medio della
> carta, inchiostro, tecniche anticontraffazione ecc...).
> Il Banchiere ricava 1.435 euro (100 x 2,5% x 14).
> Il Banchiere spende 0,42 euro (14 x 0,03).
> Il Banchiere guadagna 1.434,58 euro (1.435 - 0,42) e questo è il signoraggio
> sullo stipendio di un singolo dipendente.

Ahahahhahahha ..... come se tutte le spese dello stato fossero
supportate dal signoraggio ..... poveri noi .... ma non ti vergongi a
postare ste cazzate?

> Quanti sono i Dipendenti Pubblici? 3 milioni? Quant'è lo stipendio medio?
> Quello indicato? Un po' meno, un po' di più? Fate voi gli aggiustamenti...
> Uno stipendio di 1.400 euro 'costa' allo Stato 1.435 euro.
> Lo stesso meccanismo per una strada, un ospedale, un ponte, un carroarmato,
> un telefono...
> E queste spese dello Stato vanno saldate, con le Tasse.
> Calcoliamo, da Bar dello Sport, la Tassa che tutti i cittadini devono pagare
> per saldare 1.435 euro x 3 milioni di dipendenti pubblici.
> Non facciamoci distrarre e lasciamo ai politici giocare sul fatto se i
> Dipendenti pubblici sono tanti o pochi o il giusto, e se i ponti servono o
> non servono, se gli Ospedali e le scuole vanno privatizzate o no.
> Noi ormai abbiamo capito che anche UN SOLO dipendente costerà sempre più di
> quanto il poverino intasca.

Scommetto che non lo sai che le famiglie italiane (e bada, le sole
famiglie!!! Non le imprese) possiede 3050 miliardi di euro (si si hai
letto bene) di prodotti finanziari vari. Una bella parte sono buoni
dello stato. Vedi un po' tu a chi si pagano gli interessi sul debito
....
Tra l'altro, il nuovo debito non e' vero che venga sempre emesso
stampando nuova moneta ;-)


> Facciamo due conti:
> 1.435 x 3.000.000 = 4.305.000.000 euro !
> 4,3 miliardi di euro al mese ! e poi ci sono le strade, gli Ospedali ecc...
> E se lo Stato stampasse i propri soldi?
> Stampare un mazzetto di banconote che valgano 1.400 euro costa 0,42 euro,
> ricordiamolo...
> 0,42 x 3.000.000 = 1.260.000 euro !

4 miliardi di euro al mese stampati ogni mese? Lo sai quant'e' la massa
monetaria vero?

> Il Pubblico Impiego allo Stato costerebbe 1,6 milioni di euro al mese !
> E' assurdo?!?! 4,3 miliardi di euro contro 1,6 milioni di euro?

Si appunto. Una cazzata incredibile. Ti sfido ad intavolare una
discussione seria sull'argomento cifre alla mano, cosi' mi faccio un
paio di risate. Tanto per cominciare il monte stipendi dei dipendenti
pubblici e' oltre 150 miliardi di euro l'anno vedi un po' tu quello che
hai scritto se non e' una cazzata ....

> Quanti contribuenti ci sono in Italia ? Facciamo pagare anche i gatti?
> Diciamo 30 milioni?
> Trovate Voi i dati precisi. ..
> 4,3 miliardi di euro / 30 milioni di tassati = 143 euro!
> 1,6 milioni di euro / 30 milioni di tassati = 0,05 euro!
>
> Con il signoraggio del Banchiere, il Pubblico Impiego costa al Contribuente
> (attualmente) 143 euro al mese, senza signoraggio invece, solo 0,05 euro al
> mese.

Si si , insisti ........ non capisci na cippa. Tra l'altro fai solo un
favore a quelli che un paio di euro sul signoraggio li beccano veramente
perche' con le tue panzane discreti completamente il problema che in
vero esiste, ma in altri termini.

> E gli impiegati non perderebbero Potere d'Acquisto perché le banconote
> sarebbero garantite dallo Stato, quindi dalla comunità tutta, per semplice
> convenzione, perché la banconota avrebbe il valore che tale convenzione
> 'induce' nella carta.
> E' il Popolo che accettando la carta-moneta (per convenzione tra i Cittadini
> stessi di una Società) ne crea il valore, con il principio dell'induzione,
> scoperto dal Prof. G. Auriti.
> Non serve neanche la riserva aurea (in ogni caso e di fatto già assente dal
> 1971, con la fine degli accordi di Bretton Woods, per volere di Nixon e la
> chiusura della Gold Window).
> Stesso discorso per le strade, pensionati, ospedali...
> Lo Stato pagherebbe le Ditte che fanno le Grandi Opere con moneta propria,
> non carica di Usura Bancaria.
> La realizzazione di Servizi e Lavori Pubblici saranno discussioni
> squisitamente politiche e non economiche.
> Sarà il consenso popolare a determinare investimenti, senza dipendere da
> Usurai.
> Se il Popolo ritiene necessario un ponte, lo Stato stampa i soldi necessari
> per fare quel ponte.

Hai idea dell'effetto inflattivo di stampare moneta a iosa?

> Così non si avrà inflazione perché, a costo zero (spese tipografiche), si
> crea il bene-moneta per realizzare il ponte, ossia il suo equivalente Bene
> Reale (concetto base del Credito Sociale. v. L'Isola dei Naufraghi, di Louis
> Even).

Ahahhahahhah questa poi .... fantastica. Ma fammi il piacere ......

> Da qui si può partire per creare il Reddito di Cittadinanza, perno
> concettuale e pratico per slegare il Popolo dalle angherie e ricatti dei
> Detentori del Potere di Emettere Moneta.

Dai, gia' che ci siamo........ stampiamo ....10.000 euro al mese per
tutti ...... ahahhahahahha.....

Guarda, vorrei metterti a fare il ministro e metterti a fare quello che
dici ..... naturalmente guardandomi le conseguenze dal satellite su
un'isola tropicale :-))