venerdì, settembre 16, 2005

Il controllo della moneta. L'usura come sistema

articolo tratto dall'edizione on-line del quotidiano Rinascita
- colori, grassetti e corsivi aggiunti dal signor Aggio -

Il termine "pecunia" ha origine etimologica dal latino pecus, pecora, che indicava l'unità di misura anticamente utilizzata per regolare gli scambi, così come il termine "salario" deriva da "sale", usato una volta per pagare il lavoro e i beni di prima necessità.
La moneta nasce come sistema semplificato per facilitare gli scambi e per misurare la ricchezza. Essendo la ricchezza null'altro che la somma dei patrimoni e dei prodotti di una comunità, la moneta dovrebbe essere proprietà della stessa comunità, quindi del popolo, e il suo conio e il suo controllo dovrebbero essere compito dello Stato.
La quantità di moneta circolante dovrebbe essere, logicamente, pari al valore della ricchezza esistente in quel momento, cioè dei beni immobili, mobili, di consumo e degli strumenti impiegati nelle produzioni.
Lo Stato dovrebbe continuamente vigilare perché questa equivalenza sia mantenuta: se le ricchezze aumentano, incrementando proporzionalmente il volume di moneta circolante o, se diminuiscono, contraendo la quantità del denaro.
L'inflazione e la deflazione, malattie economiche oggi così diffuse e perniciose, non sono altro che lo squilibrio esistente tra i beni presenti sul mercato e la quantità di denaro circolante.
Per rendere stabile il potere d'acquisto di una moneta occorrerebbe dunque un controllo sull'equilibrio tra ricchezza e circolazione monetaria, ma a questa funzione dovrebbe essere deputato solo lo Stato, istituito per perseguire il bene della collettività. Le Banche, invece, sono state inventate e strutturate per ottenere utili attraverso speculazioni finanziarie, e il terreno più fertile per tale attività è quello dell'instabilità, dell'inflazione e della deflazione. Appare quindi ovvio che quando, come oggi avviene, il controllo dell'economia è affidato al mondo bancario, la stabilità del potere d'acquisto della moneta è destinata a rimanere una chimera. E le conseguenze di questa situazione si moltiplicano a cascata e coinvolgono ogni aspetto della vita della collettività.
Quando uno Stato, ad esempio, si fa promotore della realizzazione di opere di pubblica utilità, accresce la ricchezza di cui quella comunità può disporre, quindi è legittimo ed economicamente corretto che incrementi, per pagare la realizzazione dell'opera, la quantità di moneta circolante. È un'aberrazione il fatto che in una nazione ci sia necessità di nuove opere pubbliche e di nuovi servizi sociali, e si rinunci a realizzarli per mancanza di fondi, lasciando per di più molti lavoratori disoccupati.
Scrisse Ezra Pound: "Dire che uno Stato non può perseguire i propri scopi per mancanza di denaro, è come dire che non si possono costruire strade per mancanza di chilometri".
Non è però lo Stato a battere la moneta, non sono i governi a determinare le politiche monetarie e la proprietà del denaro non è attribuita al popolo.
Questa realtà è il punto d'arrivo di un lungo cammino iniziato con gravissimi errori compiuti nel passato e consolidati nel tempo.
Nel 1694, regnante Guglielmo III d'Orange, un gruppo di finanzieri capeggiati da William Paterson prestarono un milione e duecentomila sterline al governo inglese al tasso d'interesse dell'8% annuo. Il re, per ottenere il prestito, concesse alla Banca di Paterson l'autorizzazione a stampare cartamoneta - allora chiamata "nota di banca" - per un importo equivalente alla somma prestata. La Banca si trovò quindi - oltre ad essere proprietaria di un capitale sul quale percepiva gli interessi - a disporre di una massa monetaria fittizia - non corrispondente a nessuna ricchezza reale - con la quale poteva intraprendere fruttuose operazioni finanziarie o concedere prestiti sui quali percepire altri interessi.
Per il governo inglese, che rinunciò a battere cartamoneta in proprio - il che sarebbe stato più semplice ed economicamente meno pericoloso - cominciò la lunga e mai terminata sequela di interessi da versare alla Banca, e nell'economia inglese si consentì la circolazione di denaro inventato col quale illegittimamente si promuovevano speculazioni finanziarie.
Purtroppo l'esempio inglese, nei secoli successivi, fu seguito da pressoché tutti i governi del mondo, (unica eccezione: il III Reich) permettendo di giungere all'attuale situazione, dove nessun popolo è proprietario della moneta che utilizza e tutti sono debitori delle Banche private che battono moneta.
Le Banche, nel momento stesso della loro nascita, hanno iniziato a creare moneta fittizia - pensiamo all'immensa massa di denaro virtuale oggi circolante nel mondo - dando vita a una colossale truffa ai danni dei popoli. Non bisogna mai dimenticare infatti che il prezzo che gli uomini debbono pagare per l'utilizzo di una cartamoneta irreale, creata dal nulla, è il lavoro, la produzione, beni mobili ed immobili, cioè ricchezza reale.
Quando le Banche iniziarono a conservare entro depositi blindati i valori dei cittadini che, per motivi di sicurezza, preferivano delegare loro questa incombenza, consentirono anche, agli stessi cittadini, di compilare dei "buoni di cessione" di questi preziosi per utilizzarli come forma di pagamento. Si tratta dei capostipiti del moderno assegno.
Il banchiere notò che la tendenza di chi depositava era rivolta più al risparmio che all'utilizzo a breve dei beni: solo il 10% veniva movimentato. Egli dunque pensò bene che non avrebbe rischiato molto creando, a proprio uso, ricevute di pagamento per un importo pari al 90% dei valori depositati presso la sua Banca. E queste ricevute furono da subito utilizzate per concedere prestiti ad interesse e partecipare a fruttuose attività finanziarie.
Oggi siamo andati molto più in là; il denaro, che l'antico banchiere aveva illegittimamente creato - non essendo lui il proprietario dei beni depositati - era pur sempre garantito da beni esistenti; ora viene semplicemente stampato ex nihilo, senza nessuna garanzia e senza nessun limite, e in più si è aggiunto il denaro virtuale, elettronico. La massa di moneta, nelle sue varie forme, attualmente circolante nel mondo ed utilizzata per speculazioni di ogni tipo, è 60 volte superiore a quella usata per lo scambio delle merci.
Un'altra considerazione ci sembra degna di nota: se il popolo fosse il vero proprietario della moneta, questa, al momento del suo conio, dovrebbe essere attribuita allo Stato e non, come oggi avviene, messa a suo debito. E, per di più, il valore monetario nasce dal fatto che il popolo accetta e usa il denaro e non perché qualcuno ha pensato bene di stamparlo. Se lo stesso banchiere avesse emesso pari banconote in un'isola deserta, quale valore potrebbero avere?
Ciò nonostante, le Banche centrali, che sono banche private, creano moneta addebitandola al popolo e, truffa sulla truffa, la pongono a bilancio sotto la voce "passivo". Nonostante l'unica spesa sostenuta sia il costo della carta, dell'inchiostro e della stampa.
E la moneta viene prestata allo Stato e agli Istituti bancari che, su tali operazioni, dovranno pagare interessi.
Questa trafila è ormai così consolidata che nessuno si pone quesiti sulla sua ineluttabilità.
Pur tuttavia qualcosa di segno opposto è già avvenuto e continua ad avvenire ancor oggi. Lo Stato in effetti conia, presso la sua Zecca, le monete metalliche - per importi assai limitati in confronto a quelli del cartaceo - ed in passato furono stampate in Italia banconote da 500 lire come "Biglietto di Stato a corso legale". I cittadini non hanno certo rilevato un fatto del genere, così come non se ne rendono conto per ciò che riguarda le monetine che oggi, nell'era dell'Euro, vengono coniate dai singoli Stati, seppure per importi rigidamente determinati dalla Banca Centrale Europea. Siamo cioè arrivati al colmo: ora è lo Stato a dover chiedere al potere bancario l'autorizzazione a battere moneta, peraltro per importi piccolissimi - gli spiccioli appunto - e non l'inverso, come avveniva nel 1694 in Inghilterra, quando iniziò il lungo percorso della grande truffa monetaria.
Ad aggravare la situazione si aggiunge il "maldestro" operare dei governanti. Giulio Tremonti aveva recentemente proposto la sostituzione delle monete da 1 e 2 euro con biglietti di pari valore. È mai possibile tanta incompetenza in un ministro chiamato a tutelare gli interessi economici degli italiani? O si tratta di una gaffe generata da altre "oscure" motivazioni? Beffarda ed umiliante è stata la risposta della BCE: "Ne abbiamo parlato e in linea di principio non abbiamo nulla in contrario. Mi auguro che il ministro Tremonti sia consapevole che così perderebbe i proventi del diritto di signoraggio sulle monete".
La differenza tra euro-carta ed euro-moneta è riscontrabile dal fatto che mentre la carta è perfettamente identica in tutte le nazioni che utilizzano l'Euro, le monete sono personalizzate dallo Stato che le conia in una delle due facce. Ma i cittadini utilizzano e spendono allo stesso modo cartamoneta e monete metalliche.
Per quale motivo dunque lo Stato, al contrario di ciò che propone Tremonti, non potrebbe stampare anche la cartamoneta, sottraendo così questa prerogativa alle Banche private? In tal modo si affermerebbe il diritto alla sovranità monetaria, fondamentale per la libertà di un popolo così come quella territoriale, quella militare e quella politica.
Thomas Jefferson, presidente americano dal 1801 al 1808, a tale proposito ebbe a dire: "Credo che per le nostre libertà le istituzioni bancarie siano più pericolose degli eserciti nemici. Sono già arrivate al punto di erigersi in un'aristocrazia del denaro che sfida il governo. La facoltà di emettere moneta dovrebbe essere loro strappata e restituita al popolo, al quale giustamente appartiene. In realtà, il potere di produrre moneta dovrebbe essere riservato soltanto allo Stato, che provvederebbe a metterla in circolazione a seconda delle necessità.".
Stretti dalla morsa del ricatto bancario, i governi sono costretti invece a pagare cifre di interessi tali da incidere pesantemente sul bilancio delle proprie nazioni. Le tasse che i cittadini debbono versare, invece di finanziare opere pubbliche, servono a coprire anche questi interessi. Per le strade, gli acquedotti, gli ospedali e tutte le altre strutture necessarie alla collettività, lo Stato è dunque costretto a chiedere nuovi prestiti, sui quali tutti dovremo pagare il balzello riservato ai banchieri.
Si tratta di una situazione assurda e solo apparentemente inevitabile: basterebbe che lo Stato tornasse a battere moneta e tutto sarebbe risolto. Parecchi hanno intravisto la possibilità di questa soluzione, ma sinora nessuno è riuscito a diffondere questa idea, in modo tale da creare una coscienza collettiva, necessaria per una radicale ribellione, né alcun politico è riuscito ad attivare provvedimenti alternativi senza scontrarsi - rovinosamente - con i poteri forti che governano il mondo.
Due presidenti statunitensi, per altri versi assai discussi, tentarono un'inversione di marcia.
Abraham Lincoln fece stampare dei "Biglietti degli Stati Uniti" - chiamati, per il loro colore, greenbacks - su cui non gravavano interessi da pagare alle banche. Tutti sanno che nel 1865 Lincon fu ucciso; qualche storico induce a collegare la persona dell'assassino, John Wilkes Booth, con casa Rothschild.
John F. Kennedy tentò un provvedimento analogo - alcune banconote prive di interesse stampate allora sono ancora in circolazione - ma l'iniziativa non ebbe molta durata per quel che avvenne a Dallas nel 1963.
Il "signoraggio" è il termine col quale si indicava il compenso richiesto dagli antichi sovrani per garantire, attraverso la propria effige impressa sulle monete, la purezza e il peso dell'oro e dell'argento. Ogni cittadino poteva infatti portare alla Zecca metallo prezioso per farlo trasformare in denaro e il sovrano tratteneva, come signoraggio, una percentuale del metallo.
Una pratica che resiste tuttora nella vita agricola. Per esempio per la torchiatura delle olive raccolte, il padrone del frantoio trattiene a sé circa il 7,5 per cento del carico.
Ciò che viene oggi indicato come "reddito monetario" in effetti non dovrebbe essere altro se non l'antico signoraggio.
Se un Ente statale si prendesse la briga di stampar moneta, diffonderla, controllare l'operato degli Istituti bancari, sarebbe più che legittimo istituire una tassa per coprire le spese necessarie al buon funzionamento di quell'Ente.
Ma la dimensione del moderno signoraggio va ben al di là di una semplice tassa. Il reddito monetario di una Banca di emissione è dato infatti dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle Banche minori e il costo - davvero infinitesimale - di carta, inchiostro e stampa, sostenuto per la produzione del denaro.
Se l'Ente di emissione fosse statale il problema avrebbe un peso relativo, innanzitutto perché sparirebbero di colpo gli interessi pagati dallo Stato - che senso avrebbe infatti, per lo Stato, pretendere interessi da se stesso? - poi perché si tratterebbe di utili che, rimanendo in mano allo Stato, apparterrebbero sempre alla collettività.
Il reddito monetario, cioè l'utile di esercizio di una Banca di emissione, viene distribuito invece a tutti i "partecipanti", né più né meno di come accade in una normale Società per azioni.
Ma il problema inerente la natura delle Banche centrali non è tanto quello della quantificazione degli utili e della loro distribuzione - peraltro in alcune nazioni, per attutire gli effetti dell'increscioso balzello monetario, è stata prevista una restituzione allo Stato di una percentuale del signoraggio - quanto il potere esercitato sulla politica monetaria e su tutta l'economia nazionale in conseguenza delle prerogative proprie di un Istituto di emissione: stabilire il tasso di sconto, la politica monetaria e del credito, la concessione dei mutui, ecc.; prerogative della sfera politica, nel caso di un Istituto di Stato, ma che sono invece riferibili, nel caso di Istituti privati, a interessi di centri economici e finanziari, per di più quasi sempre non nazionali.

Le Banche di emissione sono Istituti dello Stato o privati?
In Italia, nel 1874, fu promulgata, per la prima volta dalla nascita del Regno, una legge bancaria, per porre un freno alle emissioni di cartamoneta e regolamentare la concorrenza tra le banche che stampavano denaro. Le Banche autorizzate a emettere cartamoneta erano infatti ben sei: la Banca Nazionale del Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito, la Banca Romana, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Con tale legge, inoltre, si stabiliva che le variazioni del tasso di sconto dovevano essere autorizzate dal Ministero delle Finanze.
Con la successiva legge del 1893, promulgata a seguito del clamoroso fallimento della Banca Romana, i quattro istituti dell'Italia centrosettentrionale vennero fusi, dando vita alla Banca d'Italia, e rimasero ancora attivi il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, ma con ruoli di emissione più limitati.
Bisogna arrivare agli anni 1926-27 per vedere attribuito il diritto di battere moneta solo alla Banca d'Italia, che diventa così Banca centrale.
La sua natura - definita e regolamentata nello Statuto approvato con regio decreto solo nel 1936 - fu definita come quella di un "Istituto di Diritto Pubblico", ma la sua struttura e la sua proprietà rimasero quelle che erano: quelle di una Società anonima, trasformata successivamente in Società per azioni.
Il Governatore assunse da subito un ruolo assai rilevante, non solo per l'amministrazione monetaria, ma anche per l'intera vita economica della Nazione. Lo Statuto stabilì la non revocabilità del Governatore da parte del potere politico, attribuendo questa facoltà solo al Consiglio superiore della Banca d'Italia, organo tecnico ed estremamente frammentato, quindi difficilmente condizionabile.
Nel 1926, mentre si stava discutendo sull'assetto da dare alla Banca di emissione italiana, le pressioni per garantirne la sostanziale autonomia e l'inamovibilità del Governatore furono notevoli. Benjamin Strong, Governatore della Federal Reserve Bank di New York intervenne direttamente su Mussolini per ottenere garanzie sull'indipendenza della Banca d'Italia e sulla permanenza di Bonaldo Stringher al posto di suo Governatore, mettendo sul piatto della bilancia l'appoggio della Federal Reserve e della Banca d'Inghilterra alla stabilizzazione della moneta italiana.
Così, nonostante numerose correnti del Fascismo spingessero verso la nazionalizzazione della Banca centrale, il decreto del 1936 si limitò a sostituire i vecchi azionisti con un consorzio di Enti e Banche, con prevalenza delle Casse di risparmio. La Banca d'Italia rimaneva dunque una Banca privata.
La sua proprietà, nel corso degli anni, non è sostanzialmente cambiata: la proprietà della Banca d'Italia non è mai stata dello Stato, cioè del popolo, ma delle banche.
E la storia dell'autonomia della Banca d'Italia è, sino ad oggi, una sequenza di tappe sempre più significative, tutte indirizzate ad aumentarne il distacco dallo Stato.
Nel 1981 - quando era ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi - si giunse a sancire il diritto della Banca a non sottoscrivere - sia parzialmente che in toto - i titoli di Stato; un divorzio sempre più definitivo che dimostrava, senza alcun dubbio, chi deteneva il bandolo della politica monetaria italiana e in quale conto era tenuta l'autorità politica.
Nel 1992 cadde anche la residua possibilità da parte dello Stato di controllare il tasso di sconto: il potere di modificarlo, antico appannaggio del Governo, era stato nel corso dei decenni attribuito al Governatore della Banca d'Italia, che doveva però agire "in concerto" con il ministro del Tesoro.
L'ex Governatore Guido Carli, nei panni di titolare del dicastero economico, il 7 febbraio 1992 fece approvare dal Parlamento l'assoluta autonomia dell'Istituto di emissione in materia di tasso di sconto.
Si tratta di una questione chiave: il debitore riconosce al creditore la facoltà di fissare unilateralmente le regole del prestito. Regole che poi saranno applicate a tutta l'economia nazionale. Che senso possono avere, a questo punto, le scelte elettorali, se nessun candidato, una volta eletto, potrà avere il controllo delle leve economiche del credito? Quale politica di sviluppo può essere programmata da un governo che non sa quanto costerà il denaro?
Così, anche l'ultimo residuo di cordone ombelicale tra Banca centrale e potere politico era stato definitivamente reciso.
Non solo. Con il passare dei decenni i personaggi del mondo monetario, non contenti dell'assoluta autonomia conquistata, si sono proposti in maniera sempre più arrogante come controllori e spesso addirittura gestori del mondo politico.
Nel 1945 l'allora Governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi cumulò la sua alta carica monetaria con quelle di vice presidente del Consiglio e di ministro del Bilancio. Nel 1948 Einaudi divenne presidente della Repubblica.
Da allora i casi del genere sono stati molteplici e in un crescendo preoccupante: Carli, già Governatore, divenne ministro del Tesoro; Ciampi, dopo essere stato Governatore è divenuto ministro, poi presidente del Consiglio e infine è approdato al Quirinale; Lamberto Dini, direttore generale della Banca d'Italia è divenuto ministro e poi Premier; Antonio Maccanico, già presidente di Mediobanca, è divenuto ministro e consigliere del presidente della Repubblica. C'è anche da ricordare la carriera politica di Giuliano Amato - assiduo frequentatore degli ambienti finanziari americani - più volte ministro e primo ministro e di Romano Prodi, passato dall'incarico di consulente della Banca Goldman Sachs alla poltrona di Palazzo Chigi e successivamente a quella di presidente del Consiglio europeo. Oppure di Mario Draghi, giubilato dal Tesoro alla solita Goldman Sachs (che è la stessa banca d’affari che speculò sulla svalutazione della lira del 1992).
Si tratta sempre di scalate politiche quasi mai scaturite da consultazioni elettorali, ma frutto di alchimie di potere operate in assoluto dispregio del consenso popolare. Bella democrazia!
Con l'avvento dell'Euro e della Banca Centrale Europea le cose sono peggiorate. Le autonomie godute dal mondo bancario si sono rafforzate e la lontananza delle sedi dove si decide e si comanda hanno infittito l'atmosfera di sospetto e di mistero sul mondo monetario ed economico.
È un problema di casta. Le cariche che contano vengono spartite rigorosamente tra di loro, tra gli intoccabili delle Banche centrali nazionali; le cariche della BCE che sono di spettanza dei Governi, per statuto, devono essere attribuite a "persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario".
Mentre gli uomini delle banche continuano sistematicamente ad occupare gli scranni dei politici, a nessun politico è concesso di entrare nei blindatissimi palazzi del denaro.
Non vi è ministro, né presidente del Consiglio, né presidente della Repubblica o monarca ad avere il potere, l'insindacabilità e la durata della carica che hanno a disposizione un presidente e un dirigente della Banca Centrale Europea. La BCE dà "indicazioni" vincolanti ai governi, stabilisce tassi e politica monetaria e nessun potere politico può interferire.
E il popolo? Sempre più lontano, sempre più sottomesso. Bella democrazia!
Analoga la storia delle altre Banche centrali negli altri paesi d'Europa e del mondo.
La più autonoma, la più indipendente, la più spudoratamente privata è indubbiamente la Federal Reserve americana. La sua proprietà è inoltre tenuta scrupolosamente segreta, come segrete sono le riunioni della sua dirigenza. Palese è invece il suo potere, beffardo ed efficace, negli USA e nel mondo.
Scrisse Gertrude Coogan: "La legge sulla Federal Reserve fu un grave errore. Essa consegnò ai banchieri internazionali il controllo assoluto sul sistema bancario americano e, di conseguenza, su ogni attività economica".
Persino nei regimi comunisti, in smaccata contraddizione con i dettami ideologici marxisti, le Banche di emissione finirono in mano ai banchieri internazionali. Nel 1937 la Gosbank, l'Istituto di emissione sovietico, fu privatizzato, e nel Consiglio di amministrazione fu accolto il plurimiliardario ebreo-americano Armand Hammer.
Ci fu una sola nazione, nel XX secolo, che osò nazionalizzare la propria Banca di emissione, riconoscendo allo Stato e quindi al popolo la proprietà della moneta: la Germania nazionalsocialista.
Riflettendo sull'accanimento criminalizzante riservato a Hitler ed ai suoi seguaci e sulla nazionalizzazione della Reichsbank, forse si potrebbero formulare spiegazioni inconsuete e illuminanti sull'intera storia del secolo appena trascorso.

I padroni delle Banche di emissione e della politica monetaria

Le Banche centrali, quelle cioè che stampano la cartamoneta dei vari paesi del mondo, dunque sono private e i proprietari sono in maggioranza le altre Banche e i grandi finanzieri internazionali.
Ma allora, se il mondo della politica, se i governi, i capi di Stato, i ministri del Tesoro e dell'economia non hanno più voce in capitolo sui tassi di sconto, sulle strategie monetarie, sulle condizioni dei prestiti, sui finanziamenti internazionali, sui cambi, sulle Borse, chi coordina tutto questo complesso mondo di numeri, di previsioni economiche, di interventi piccoli e grandi destinati a influire in maniera determinante sulla vita di tutti i popoli?
Chi prende le decisioni? Chi comanda?
(Occorre) indagare, osservare più da vicino il mondo delle Banche centrali e cercare di individuare il momento e la sede dove queste si incontrano e decidono.
Sì, perché decidono davvero! E gli effetti di tali decisioni sono davanti agli occhi di tutti.
E allora, informandosi, si viene a sapere che a Basilea, in Banhofplatz al 2, ha sede la Banca dei Regolamenti Internazionali, la BRI (o BIS, Bank for International Settlements), fondata nel 1930, dove si riuniscono, ogni mese, i dirigenti di tutte le Banche centrali del mondo. Proprietarie della BRI sono infatti tutte le Banche centrali del mondo, ma in proporzioni assai differenti tra di loro. Il 25% delle azioni sono della Federal Reserve USA, il 15% della Banca d'Inghilterra e il rimanente 60% è distribuito, con quote minime, tra tutti gli altri. Un 60% talmente frammentato da rendere impossibile una qualsiasi aggregazione percentualmente significativa.
La Federal Reserve, col suo 25% di proprietà e con la costante, servile disponibilità della Banca d'Inghilterra, ha facile mano nel determinare il bello e il cattivo tempo.
Nell'àmbito della BRI le Banche centrali dei paesi più industrializzati del mondo - Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Olanda, Belgio, Svezia e Svizzera - hanno istituito appositi comitati di vigilanza internazionale: il CBVB, Comitato di Basilea sulla Vigilanza Bancaria, il CSPR, Comitato sui Sistemi di Pagamento e Regolamento, e il CSFG, Comitato sul Sistema Finanziario Globale.
Le nomine dei Governatori delle Banche centrali delle varie nazioni del mondo, prima di giungere alla ratifica dei rispettivi Governi, dove ciò è ancora previsto, devono essere approvate dalla BRI; se a Basilea non sono d'accordo, tutto viene rimesso in gioco, si vagliano altre candidature, più gradite ai signori della Banhofplatz, fino ad individuare l'uomo adatto a gestire, a livello nazionale, le decisioni che vengono assunte lassù, nell'Olimpo dei potentissimi, dei Morgan, dei Rockefeller, dei Warburg, dei Rothschild.
Certo, perché, nonostante i proprietari della Federal Reserve siano tenuti segreti e segrete le loro riunioni, si sa per certo che tra di loro ci sono anche questi uomini e che le loro quote pesano molto. Nomi che compaiono da secoli nella storia del denaro e, soprattutto, nella scalata che il potere finanziario internazionale ha fatto ai danni del potere politico.
Quindi chi comanda il mondo del denaro, cioè il mondo dell'economia, cioè il mondo tout court, esiste davvero.
In quelle riunioni mensili vengono affrontate tutte le questioni di ogni paese, vengono decisi i tassi di sconto, i beneficiari dei prestiti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, quali governi devono essere aiutati, facilitati, finanziati, quali monete devono decollare e quali svalutarsi, quali movimenti rivoluzionari devono essere armati e quali riforme devono essere sponsorizzate. Sì, perché chi ha il potere di decidere la politica monetaria può influire, in maniera determinante, su ogni cosa.
Certamente, nei sontuosi saloni della BRI, si è molto discusso, e deciso, prima che venissero firmati gli accordi di Bretton Woods nel 1944, con i quali fu stabilito, tra l'altro, che il dollaro dovesse essere assunto come moneta per gli scambi internazionali. Certamente, negli uffici della Banhofplatz al 2 si è molto discusso, e deciso, prima che il presidente USA Richard Nixon, nell'agosto del 1971, annunciasse al mondo l'inconvertibilità del dollaro in oro (sino ad allora per 35 dollari doveva esistere la garanzia di un'oncia d'oro). Certamente a Basilea si è molto discusso, e deciso, prima che la pubblica opinione del mondo venisse a conoscenza della Perestrojka, del Trattato di Maastricht, dell'Euro, della guerra all'Iraq, della guerra nei Balcani, della guerra all'Afghanistan. E, probabilmente, si è parlato anche di attentati, di grattacieli e di tante altre cose.
Orbene, nessuno, assolutamente nessuno di questi signori che si riuniscono, discutono e decidono al numero 2 di Banhofplatz di Basilea, è mai stato candidato in nessuna lista di nessun partito, è mai stato eletto da nessun elettore di nessun popolo del mondo.
È dunque questa la democrazia?

Controllori senza controlli
La scalata dei signori del denaro non è iniziata all'interno dell'area politica o delle istituzioni rappresentative delle singole nazioni. Si è sviluppata dove i soldi si fabbricano, all'interno delle Banche centrali, affiancandone l'attività con una miriade di istituzioni internazionali, enti, fondazioni, banche di credito e d'affari tutte rigidamente dirette o controllate da loro. Una ragnatela così ampia e articolata da consentire il progressivo condizionamento planetario di tutte le attività.
La Trilateral Commission, il Council on Foreign Relations, il Bilderberg Group, il Club de Paris, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, la Camera di Commercio Internazionale, l'Institute of International Finance, il Forum di Davos; e ancora, il Comitato di Bali, per la supervisione bancaria, l'IOSCO (International Organisation of Securities Commissions), per la supervisione delle Borse e dei mercati di capitali, l'ISMA (International Securities Market Association), l'IAIS (International Association of Insurance Supervisors), per la vigilanza sulle compagnie di assicurazione, e l'ISO (International Standard Organisation) alla quale è demandato l'incarico di definire gli standard industriali, tanto per citarne i più noti e importanti.
Al condizionamento politico ed economico delle singole nazioni, attraverso il controllo monetario, si aggiunge il potere di influire sui rapporti internazionali. Poco importa se intere nazioni, nel gioco delle speculazioni, sono travolte e ridotte alla fame - vedi i paesi dell'America Latina - o altre vengono a trovarsi in posizione di immeritato vantaggio. Un esempio tra i tanti che si potrebbero fare: il 30% dell'intero ammontare dei prestiti concessi dal Fondo Monetario Internazionale attualmente è assorbito dalla Turchia - favorita dalla sua posizione geostrategica nel Vicino Oriente - che va salvata per non far perdere un forte alleato a Stati Uniti e Israele.
Inoltre, attraverso il flusso dei finanziamenti, si attivano tutte quelle iniziative che si ritengono funzionali al disegno mondialista e si condizionano pesantemente - spesso sino a stravolgerle - anche quelle iniziative che, a prima vista, potrebbero apparire di segno opposto. Esempio particolarmente eloquente ne è il Movimento dei No Global.
Maurizio Blondet, nel suo libro No Global, ci informa che, contrariamente a quanto la pubblica opinione è indotta a credere, "l'International Global Forum è largamente finanziato dalla Foundation for the Deep Ecology, un think-tank con sede a San Francisco, erede delle fortune del magnate Douglas Tompkins, il padrone della Esprit Clothing Company, la nota multinazionale di pret-à-porter. Detta "Fondazione per l'Ecologia Profonda" nel 2000 ha dichiarato attivi per 150 milioni di dollari: grazie a questi fondi essa funziona come una finanziaria, che fornisce capitali iniziali per il lancio di gruppi antiglobal in tutto il pianeta".
Ed ancora: tra i "finanziatori dei No Global spicca un nome: Theodor (Teddy) Goldsmith. [...] Teddy è il fratello minore del defunto sir James Goldsmith, speculatore mondiale in materie prime, uno dei dodici uomini più ricchi del mondo, cugino dei Rothschild".
Procedendo nella sua indagine, Blondet mette in luce anche le relazioni che legano il mondo dei No Global a un altro celebre miliardario, George Soros.
"Ebreo ungherese naturalizzato americano, Soros è diventato enormemente ricco e famoso con speculazioni internazionali sulla lira negli anni '90, il genere di operazioni possibili nel mercato globale. [...] Soros finanzia anche un'altra fondazione "culturale", il Lindesmith Center-Drug Policy Foun-dation, che impiega enormi mezzi per fare lobby a favore di una politica di totale liberalizzazione delle droghe e per la legalizzazione dell'eutanasia, naturalmente a livello mondiale".
Dunque, ovunque si cerchi, escono fuori soldi, enormi quantità di soldi, attraverso i quali i soliti signori, indirizzano, determinano, controllano.
Per ciò che riguarda l'Europa, taluni sono indotti a credere che l'Euro sia il punto di arrivo spontaneamente perseguito dalle nazioni del Vecchio Continente, nel quadro della loro volontà di unificazione.
Ma, osservando bene, si scopre che anche i fili che hanno mosso questa operazione vengono da lontano e ci conducono sempre ai soliti nomi.
Il professor Joshua Paul, docente della Georgetown University, ha pubblicato nell'autunno del 2000 una serie di documenti del Bilderberg Group, sino ad allora tenuti segreti, che documentano come da cinquant'anni quegli ambienti stessero lavorando perché l'Europa si dotasse di un'unica valuta. Già nel 1948 le Fondazioni Ford e Rockefeller avevano dato vita all'American Committee for a United Europe, con lo scopo di condizionare lo sviluppo monetario, economico e politico del nostro Continente in modo convergente agli interessi d'Oltreoceano. Un memorandum della sezione Europa del Dipartimento di Stato americano, in data 11 giugno 1965, riporta precisi suggerimenti al vice presidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, per giungere al varo di un'unica valuta europea, non come concorrente del dollaro, ma come agevole mezzo di controllo delle economie delle singole nazioni europee.
È infatti molto più semplice controllare un'unica entità monetaria e un'unica Banca centrale indipendente, piuttosto che quindici valute e quindici Istituti di emissione con ancora qualche residuo legame con i ministri economici, i governi e il mondo politico.
All'articolo 7 dello Statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea si legge: "Né la BCE, né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo".
Le Banche centrali delle singole nazioni europee, prima del Trattato di Maastricht, avevano un'indipendenza dal potere politico valutabile tra il 40 e il 65%; oggi, dopo i cambiamenti determinati dall'avvento dell'Euro, hanno raggiunto il 90%.
Dunque, mentre nessuna influenza può giungere dal potere politico alla BCE, dai vertici monetari giungono al potere politico continue indicazioni, parametri cui attenersi, precisi paletti che coinvolgono l'intera economia delle nazioni.
Come giustamente osserva Bruno Tarquini, già Procuratore della Repubblica a Teramo, nel suo La banca, la moneta e l'usura, "Lo Stato ha rinunciato alla propria sovranità monetaria, trasferendola a un istituto privato: questo perciò, in perfetta autonomia e indipendenza, esercita una pubblica funzione di essenziale rilevanza per la vita della Nazione, essendo noto che la politica monetaria (vale a dire l'emissione della moneta e la regolamentazione della sua circolazione nonché del mercato monetario) condiziona l'intero sistema economico di uno Stato ed influisce quindi anche sulla sua politica generale, e particolarmente su quella sociale".
È davvero singolare come il Trattato di Maastricht si sia preoccupato di definire la BCE esclusivamente per ciò che riguarda la sua indipendenza. Francesco Papadia e Carlo Santini, nel loro La Banca centrale europea, ricordano: "Dalla lettura del Trattato emerge la particolare collocazione della Banca centrale europea nell'assetto istituzionale dell'Unione europea. L'art. 4, infatti, non la menziona tra le istituzioni (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia e Corte dei conti) della Comunità. Alla Banca, però, il Trattato conferisce personalità giuridica e lo Statuto riconosce la più ampia capacità di agire in ciascuno degli Stati membri. Sotto il profilo giuridico-formale, la Banca centrale europea non è, dunque, un'istituzione comunitaria [...] i suoi atti non sono imputabili alla Comunità. La Banca centrale europea è inserita in una cornice giuridica che ne stabilisce e ne tutela l'indipendenza nell'attuazione della politica monetaria".
La BCE determina dunque, in perfetta autonomia - come se ciò non avesse rilevanza politica e sociale - il livello dei tassi di interesse ufficiali, cioè il costo del denaro, cioè la politica di espansione o di restrizione monetaria. E, se non bastasse, decide e guida, in perfetta indipendenza, tutte le operazioni di acquisto e di vendita degli euro contro altre valute sul mercato dei cambi. E le Banche centrali nazionali devono conformarsi in tutto e per tutto alle direttive della BCE - il Consiglio direttivo vigila attentamente - altrimenti bacchettate sulle dita, con tutto il potere per farlo.
La BCE, e di conseguenza anche tutte le Banche centrali nazionali, ufficialmente - ormai è scritto a chiare lettere, nero su bianco, nei Trattati e nei Regolamenti - non possono concedere, per nessun motivo, crediti agli Stati, o alla Comunità europea o a qualsiasi altro soggetto pubblico, e quindi è loro proibito acquistare titoli di Stato, sia al momento dell'emissione che successivamente.
Non solo, se prima di Maastricht qualche Banca centrale, come abbiamo già ricordato, poteva prevedere un parziale ristorno allo Stato del signoraggio - reddito ottenuto attraverso la politica monetaria - alla BCE si fa obbligo di non fare uscire neanche un centesimo dalle casse del Sistema europeo di banche centrali.
E ancora, mentre i dibattiti e le sedute della Camera dei deputati e del Senato sono aperte al pubblico, le sentenze delle Corti di giustizia devono essere dettagliatamente motivate e pubblicate, le riunioni del Consiglio direttivo della BCE sono assolutamente secretate ed è lo stesso Consiglio che, di volta in volta, decide se pubblicare le proprie deliberazioni, pubblicarne solo alcune parti o non pubblicarle affatto.
Infine, ciliegina sulla torta, i dirigenti della BCE godono di una sostanziale immunità. Non sono infatti previste, all'interno della BCE, sanzioni per comportamenti impropri. Nei Regolamenti si legge che è sufficiente il rischio di perdere credibilità e fiducia per garantire la certezza dell'operato dei dirigenti. Solo in caso di colpe gravissime e di comportamento palesemente illegittimo, può intervenire la Corte di giustizia, e occuparsi del caso.
La perdita delle sovranità monetaria e legislativa - parti essenziali della sovranità nazionale - da parte degli Stati europei è stata stabilita in maniera irrevocabile. E alla chetichella.
In Italia, come sottolineò Ida Magli su il Giornale dell'11 marzo 2001, "Nella legge di riforma della Costituzione, approvata dalla maggioranza di sinistra in gran fretta poche ore prima dello scioglimento delle Camere, c'è un passo fondamentale e che pure non è stato portato a conoscenza dei cittadini né prima né dopo della sua approvazione. Si tratta dell'articolo 117 in cui si stabilisce: "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". In queste tre righe è codificata la perdita della sovranità legislativa dell'Italia. Per questo l'articolo 117 non è stato discusso apertamente: gli italiani non debbono sapere".
Forse, la democrazia è proprio questa. Da qualche parte si è sentito il dovere di coinvolgere ed ascoltare il popolo attraverso regolari referendum, e lì - vedi il caso della Danimarca - Maastricht ed Euro sono rimasti lettera morta. Il popolo ha detto no. Ma queste sono rare, anzi uniche, eccezioni.
Molto democraticamente, a tutti gli altri paesi europei è stato imposto di uniformarsi al modello americano senza diritto di replica, senza alcun referendum.

La riconquista della sovranità nazionale
Nell'epoca del denaro virtuale, della e-money, cioè dei soldi che non esistono, ma che possono determinare il benessere o la povertà per intere popolazioni, la ricchezza o la rovina per intere categorie è, in fondo, logico che il sistema politico dominante sia quello democratico, dove "sovrano" dovrebbe essere il popolo, ma a decidere sono solo i banchieri e le loro lobbies, dove si confondono le alchimie monetarie con i referendum popolari, dove le maggioranze possono essere del 13%, dove si scambia la libertà con l'obbligo a consumare, la dignità con il possesso di una carta di credito, la patria con un titolo quotato in borsa, la vita con la storia di un conto corrente.
Di fronte ai grandi temi di attualità le uniche risposte sono quelle ispirate dall'interesse dei soliti gruppi finanziari. E nessuno si ribella, perché non c'è più un potere politico rappresentativo e autorevole da cui aspettarsi risposte differenti, autonome, ispirate dall'interesse della collettività.
...Forse, gli uomini stanno cominciando a comprendere chi sono i veri nemici, e stanno cominciando ad odiarli.
Il giro di boa che condurrà al crollo della tirannide monetaria e alla riconquista delle sovranità nazionali è probabilmente molto più vicino di quello che, di fronte alla potenza planetaria delle lobbies finanziarie, si sarebbe indotti a credere.
Si preparano tempi duri, durissimi, come quelli che già stanno vivendo gli argentini.
Sarà un passaggio traumatico, dolorosamente traumatico; giacché tutte le risorse sono ormai nelle mani di quei signori e gran parte delle nostre qualità lavorative sono state stravolte: il villaggio globale ha distrutto l'artefice del prodotto finito e lo ha sostituito con l'operaio costretto a costruire un bullone, un ingranaggio o solamente ad assemblare e con il fattorino capace solo di consegnare ciò che le multinazionali hanno commercializzato.
Dovremo reimparare ciò che ci hanno fatto dimenticare. Dovremo trovare il coraggio di intraprendere strade nuove, soluzioni originali. Dovremo sbarazzarci della moneta-truffa dei banchieri e di tutti i loro ricatti e fondare, finalmente, una moneta vera, quella del popolo.
Quando il cloroformio del benessere consumista si sarà esaurito, quando il bailamme di gadget, telefonini, computer sarà andato in tilt, quando il luna park di supermercati e centri commerciali sarà rimasto senza prodotti, i popoli necessariamente dovranno riscoprirsi, rifondarsi, tornare ad esistere con la propria specifica identità e la propria cultura.
I nostri popoli hanno dimostrato già in molte occasioni di saper superare prove tremende, sviluppando una forza e una capacità solidale oggi insospettabili. Anzi, le qualità migliori le abbiamo espresse nei periodi più duri e in quelli della ricostruzione. Qualità che i signori delle banche internazionali non sospettano nemmeno e sicuramente non hanno preventivato.
I popoli europei, oggi ridotti a bracciantato per i servizi necessari allo sviluppo della nuova economia, quella della globalizzazione e delle multinazionali, sapranno ritrovare le proprie caratteristiche produttive e creatrici. Non resteranno, storditi, affamati, accampati accanto agli aeroporti, ad attendere l'arrivo degli "aiuti umanitari", come avviene in molti paesi del terzo mondo.
I popoli europei non accetteranno i nuovi ricatti di qualche nuova Banca internazionale e sapranno ritrovare la sopita passione per la libertà e l'indipendenza.
La lotta per la Libertà è una costante nella storia degli uomini. La lotta dei popoli per la Libertà e la Sovranità sarà il tema dominante della storia di domani.

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